La commedia degli errori
di William Shakespeare
La Commedia degli errori, considerata da alcuni il primo testo di Shakespeare, oscilla tra gli estremi della farsa e quelli della commedia romantica.
Definita una “farsa poetica”, prende forza dal grande divertimento per l’aggressività e la violenza generate dal verificarsi di situazioni improbabili nella vita di ogni giorno: due coppie di gemelli identici, vestiti in maniera simile, si ritrovano nella stessa città, nello stesso giorno. L’inaccettabile diventa accettabile, l’assurdo e quello che ha senso entrano in collisione e la follia e la sensatezza combattono fra loro per prevalere. La capacità dei personaggi di vedere la realtà è messa in crisi da un gioco di specchi che crea grande confusione, ma è l’impossibilità di vedere il reale nel momento in cui si è troppo presi da sé stessi a causare una vera miopia nei confronti di quanto accade. Un fenomeno familiare anche agli umani del ventunesimo secolo: la cecità autoreferenziale apre la porta al caos e alla confusione e la visione degli altri si confonde mentre vacilla la percezione di sé.
Nella commedia, una volta che il ritmo crescente, nutrito dalle passioni, esplode, la crisi si risolve in un senso di riconciliazione. Sospesa fra sapere e non sapere, la storia assume una valenza filosofica nel momento in cui proprio in questa oscillazione si intravede una costante che rende possibile la scoperta dell’identità. Non è sufficiente un singolo punto di vista: per interpretare il reale è necessario interagire con il mondo e con la comunità. La commedia si rivela così non soltanto un’escursione nel fantastico e nell’improbabile, ma un viaggio verso l’integrazione sociale, familiare e personale.
Per Shakespeare l’opera è un’occasione di sperimentazione creativa in cui condivide un vocabolario europeo di scene, personaggi e azioni. Mescola i generi, come fa la commedia dell’arte, pratica la contaminazione di trame, coniuga in una interazione dinamica i giochi linguistici di Plauto, l’esplorazione delle relazioni umane di Terenzio con spunti biblici, con il racconto italiano e il gusto elisabettiano. In questo è fortemente contemporaneo perché la capacità di contaminarsi è caratteristica massima dell’immaginazione dell’epoca Tudor. E proprio la contaminazione è la cifra della nostra messa in scena che disegna col movimento frenetico e le note di un charleston reinventato questa storia esilarante di inquietudine esistenziale e la colloca in un grande porto mercantile degli Anni Venti del Novecento, sulla costa del Mediterraneo, in cui i colori di una tavolozza post-impressionista si incontrano con le canzoni originali eseguite dal vivo in un caffè di strada.
Globe Talks
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In collaborazione con L’Università Roma Tre a cura di Maddalena Pennacchia
16 Luglio ore 19.30
Cast
Primo mercante, guardia:
Donato Altomare
Una ragazza leggera:
Lara Balbo
Professor Pinza, esorcista:
Giulio Benvenuti
Solino, Duca di Efeso:
Gabrio Gentilini
Luciana:
Betta Mandalari
Balthazar:
Roberto Mantovani
Antifolo di Efeso:
Matteo Milani
Dromio di Siracusa:
Luca Nencetti
Angelo, orafo:
Ivan Olivieri
Emilia, Badessa di Efeso:
Loredana Piedimonte
Adriana:
Carlotta Proietti
Egeone, mercante di Siracusa:
Carlo Ragone
Luce:
Laura Ruocco
Antifolo di Siracusa:
Mauro Santopietro
Cantante caffè:
Toni Sapio
Secondo mercante:
Antonio Tintis
Dromio di Efeso:
Federico Tolardo
Daniele De Seta:
chitarra
Adriano Dragotta:
violino
Eleonora Graziosi:
clarinetto
Duccio Luccioli:
batteria
Stefano Marzolla:
contrabbasso
Regia:
Loredana Scaramella
Traduzione e adattamento:
Loredana Scaramella
Maestro movimenti di scena:
Alberto Bellandi
Coreografie:
Laura Ruocco
Musiche originali:
Mimosa Campironi
Collaborazione agli arrangiamenti:
Adriano Dragotta
Costumi:
Susanna Proietti
Scene:
Fabiana Di Marco
Aiuto regia:
Francesca Visicaro
Aiuto coreografo:
Giulio Benvenuti