Scrivere al femminile.
Articolo a cura della giornalista pubblicista Ilaria Solazzo.
Ho molti libri che amo in modo particolare, e molti scrittori che mi piacciono. Tra loro, un posto lo riservo certamente a Francesca Ribacchi, autrice del romanzo “Il Responso Ribelle – Il viaggio di una sibilla dai Colli di Roma all’isola di Cipro”, Edizioni Efesto, Roma 2015, e di “Cronache feline. Gatti e personaggi storici per storie mai raccontate”, Betti Editrice, Siena 2021, composto da racconti che si alternano con quelli di Flavia Carderi. Ma Francesca è anche autrice di due raccolte poetiche “Isole di carta pellegrine”, Edizioni Efesto, Roma 2019, e “Quadreria”, Bertoni Editore 2023. Perché mi piace? In primis perché trovo scriva in maniera straordinaria, e poi è, a mio avviso, una delle ‘regine’ della narrazione contemporanea col suo stile semplice, elegante e sofisticato (al tempo stesso). Ammiro la sua innata bravura.
Mi ha sussurrato che la padronanza della lingua è fondamentale per chi scriva e, lei, è innamorata dell’italiano, che vuole difendere e veicolare il più possibile per la sua indiscussa proprietà di sollecitare l’immaginazione e la riflessività in chi legge. Al mare, riflettevo con delle amiche sull’idea di una scrittura femminile, diversa e in qualche modo minoritaria rispetto a quella maschile: un pregiudizio che è stato (quasi del tutto) debellato e su cui si è discusso molto negli ultimi anni.
Come molte colleghe giornaliste, io stessa ho fatto ammenda per il mio passato e ho iniziato a leggere numerose scrittrici internazionali appurando che il talento non ammette alcuna distinzione di genere perché la bravura non si attribuisce certo in base al sesso. La comunicazione sta apportando tanti cambiamenti nel nostro mondo, grazie, tra le altre cose, a una maggiore consapevolezza. Mio nonno affermava che Il mondo maschile può contenere quello femminile, ma ancora per troppi lettori, purtroppo, non è vero il contrario. A prescindere dal genere letterario dei vari libri, portare a compimento un progetto editoriale ovviamente richiede una grande convinzione e forza di carattere. Dorothy Parker diceva: «Odio scrivere, ma amo aver scritto». Questa semplice frase riassume in sé le due fasi principali del processo di scrittura, contrapposte e in equilibrio tra di loro. Prima c’è la fase della stesura, dura, difficile, la fase in cui si è sole e si rischia di mettere a dura prova la fiducia in se stesse. Non per niente Stephen King diceva che «scrivere un romanzo è come attraversare l’Atlantico in una vasca da bagno». Poi, si passa alla seconda fase ovvero quella della soddisfazione: il testo è completato, magari ancora da revisionare e lontano dalla pubblicazione, ma è finito, e ognuno può apporre la parola fine alla prima bozza e sentire nascere dentro di se un senso di pienezza e quasi di (onni)potenza. Per sopravvivere alla prima fase e arrivare indenni alla seconda è opportuno, ad ogni modo, cercare di lavorare su sé stesse, prima ancora che sui testi e sullo stile, per rafforzare o acquisire alcuni tratti caratteriali che possono davvero aiutare noi a vivere la scrittura come un impegno appagante e perfino gioioso.
Intervista all’autrice.
Ilaria – Quante e quali sono, a tuo avviso, le doti per essere, oggigiorno, una brava scrittrice?
Francesca – Credo siano molte: pazienza, costanza, socialità, ottimismo, resilienza, concentrazione, determinazione, generosità.
Ilaria – Ti va di spiegarci in breve la prima?
Francesca – Certamente. Scrivere un libro non è affare di poche ore o pochi giorni. Ci vuole tempo. Per terminare “Il Responso Ribelle” ho impiegato dieci anni tra ricerca, studio, visita dei luoghi e scrittura. Confesso di averlo riscritto cinque volte e mezza!
Ci vuole dunque pazienza unita alla costanza del credere che stai veicolando un messaggio di grande respiro, come quello della sibilla Elaide che, con un gruppo di uomini e donne, contrasta la pratica del sacrificio umano.
Ilaria – “La pazienza è amara, ma il suo frutto è dolce” (Jean-Jacques Rousseau). Sei d’accordo?
Francesca – Sì. Scrivere un libro richiede oltre pazienza, soprattutto quando è la prima volta, il credere in sé stessi. Altrettanta pazienza richiede l’affrontare la scrittura professionalmente, un’attività che si fonda sulla continuità.
Ilaria – Ci stai confermando che per diventare una scrittrice affermata bisogna applicarsi con disciplina e impegno…
Francesca – Aggiungo l’umiltà. Senza queste premesse si corre il rischio di gettare la spugna immediatamente. Per me la scrittura è un valore culturale fondamentale nella costruzione e nella difesa di una civiltà; quindi, chi scrive ha la responsabilità di non corrompersi moralmente e continuare a studiare e applicarsi costantemente per anni ed anni, prima di poter raggiungere risultati significativi. A Stendhal occorreva quasi un mese per comporre una pagina! Ti racconto questo particolare: ne “Il Responso Ribelle” c’è un brano che descrive l’incertezza della sibilla Elaide che dovrà agire attraverso una scelta politica vitale, e non ha aiuti o riferimenti ai quali rivolgersi. L’unico modello che potesse avere per una sacerdotessa dell’VIII secolo a. C. era quello mitico. Ho cercato la risposta tra i miti che narrano la vita della dea Athena. La soluzione trovata mi ha appagata ma ci ho lavorato su per ben cinque anni!
Ilaria – Una domanda che molte giovani si pongono è: come si diventa una scrittrice di successo?
Francesca – Serve saper scrivere, certo, e non pensare al successo, ma non basta. Bisogna lavorare su un’idea originale, organizzare il lavoro e buttare giù pagine e pagine. Scrivere aiuta a chiarire le idee. Continuare a leggere, rileggere… soprattutto per me che tratto di storia. Poi far leggere e correggere il manoscritto! E ricordarsi che i grandi classici della letteratura sono dei mentori anche per le generazioni attuali.
Ilaria – Scrittori si nasce o si diventa?
Francesca – Sembra una di quelle domande rompicapo. Probabilmente scrittori si nasce e si diventa. Quindi credo che la risposta alla domanda: “Scrittori si nasce?”, non possa essere altra che “Sì!”. Ognuno di noi nasce con una particolare propensione e quando siamo bambine la sentiamo più forte. Se sin da piccole leggere un libro significava viaggiare in un mondo fantastico. Se sentiamo l’impulso irrefrenabile di afferrare la penna e mettere su carta ciò che passa per la mente, se immaginiamo delle realtà dettagliate con i loro personaggi, allora, non c’è dubbio: siamo nate scrittrici. Ma questo da solo non vuol dire che lo diventeremo.
Ilaria – In che modo si diviene scrittrici?
Francesca – C’è una regola universale che permea ogni attività si voglia portare a termine: applicare costanza e disciplina. In questo caso, è necessario esercitarsi, acquisire gli strumenti di scrittura, conoscere le diverse forme di narrazione. Sperimentarsi, mettersi alla prova, confrontarsi. Avere degli autori di riferimento che siano concretamente o anche metaforicamente i propri mentori letterari. Infatti, mi sono ostinata a seguire l’insegnamento della “varietas” degli antichi e degli umanisti. Mi sono appassionata a più registri di scrittura: il romanzo storico, la novella, la silloge poetica, per raggiungere una maggiore profondità nel linguaggio e un affinamento spirituale.
Ilaria – C’è chi davanti a un foglio bianco parte spedito e non si guarda indietro. C’è chi sente la necessità, già dopo le prime righe, di tornare sui propri passi, cancellare, riscrivere, aggiustare. Criticarsi. Tu a quale categoria appartieni?
Francesca – Quando cavalchiamo il nostro impulso di scrivere, arriviamo ovunque, il tempo si trasforma, le convenzioni e i doveri svaniscono (brucio spesso i pranzi che sto preparando!), l’energia che troviamo dentro di noi si autoalimenta e ci pervade rendendoci quasi invulnerabili. L’unica raccomandazione è quella di non fermarsi mai. Continuare credere nella propria scrittura, fidandoci del nostro istinto, chiave della magia.
Ilaria – Cosa ti attende prossimamente?
Francesca – Non dico nulla per scaramanzia! Naturalmente vi terrò aggiornati, come sempre.