“Sui gradini dove siamo seduti/ti ho chiesto di ascoltare le cicale/la promessa al mondo che
tutto/ancora accade in questa vita tonda/fulminea e mansueta magnificenza.” I versi appartengono a
Rita Pacilio, alla sua “Preghiera” in epigrafe al libro “Così l’anima invoca un soffio di poesia”
poesie scelte (Marco Saya Edizioni, 2023 pp.264 € 20,00). La cifra poetica di Rita Pacilio contiene
una collezione privata e suggestiva dell’essenzialità sensibile, consolida la capacità di decantare la
qualità introspettiva dei versi nella sorgente creativa di un linguaggio spontaneo, colto
nell’immediatezza emblematica dell’indirizzo intuitivo dell’anima. Rita Pacilio orienta la direzione
dell’intensità nel sublime itinerario intorno al riflesso umano, concentrando in accordo con il
silenzioso contatto con la caducità, la disposizione interiore dei pensieri, la vocazione a fronteggiare
la provvisorietà attraverso la percezione consolatoria della natura, nell’innata emozione
dell’arrendevole sguardo verso una realtà che elargisce il dono di distinguere l’infinito, oltre il
confine delimitato della ricerca umana. Amplia il registro scrupoloso e inesorabile dell’inclinazione
generatrice delle cose, riconosce la predisposizione contrastante delle persone catalogando la
motivazione del paradosso umano nell’evoluzione speculativa tra le tendenze incompatibili di
indifferenza e desiderio, nella determinazione ponderata di dipendenza emotiva e libertà, nella
volontà di razionalità e impulso affettivo, nell’interpretazione di spirito e materia. La poesia di Rita
Pacilio è in divenire, nel flusso perenne della sostanza poetica, esposta alla vulnerabilità del tempo e
alle sue suscettibili trasformazioni, ammette la scrittura elegiaca come confessione lirica nel valore
universale dell’urgenza espressiva in grado di illuminare la vita e gli azzardi del mondo. Le poesie
scelte racchiudono la consistenza di una coscienza sconfinata, rinnovata in una vertiginosa catarsi
tra l’incessante avvertimento delle assenze e l’autenticità compassionevole della memoria,
custodiscono la profonda attrazione sovrumana nella trascendenza delle intonazioni significanti, nel
legame strutturale ed evocativo tra segno linguistico ed elemento concettuale, esplorano la regione
segreta e contemplativa dell’inconoscibile. Sperimentano l’estensione della poesia come intesa
corrispondente alla selezione stilistica e letteraria, annotano la responsabilità delle inquietudini
morali lacerate, illustrano l’inaugurazione sensibile alla meraviglia della bellezza, il filamento
impercettibile e inafferrabile della spiritualità. Il soffio della poesia muove il passaggio esistenziale
di una voce impalpabile ed esitante che sussurra il tremolio appassionante delle parole e modella i
versi nella corrente dell’invisibile, nell’alito di vento sfiorato dalla purificazione del vissuto. Rita
Pacilio pone l’accento sull’accuratezza del dolore e sulla rivelazione confortante delle confidenze,
annota la gravità dell’abisso nei dettagli obliqui della contemporaneità, supplica la presenza fedele
dei ricordi, codifica la cadenza visionaria del linguaggio, la sua inattesa possibilità di mutamento,
consacra forma e contenuto nella funzione esegetica dell’immaginazione, adottando una
comunicazione elegante e saggia, nell’identificazione di un’appartenenza, nel discernimento dal
varco impenetrabile di ogni orizzonte.
Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti”
https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
Io l’ho amata ogni mattina
nell’eternità celeste questa terra
travestita a festa e silenzio.
L’ho amata di felicità sull’isola
come fossi io stessa stesa
sull’acqua nel canto libero
di chi crede ancora che amarsi
è tutto questo coprirsi di baci.
Benedirò con ogni benedizione
le betulle di mio padre
i cristallini riflessi sulla pioggia soleggiata
la speranza in continua trasformazione
tra il bianco latte del tronco e la libertà.
Benedirò le voci che passano nelle nuvole
per ricordare che non potrai tornare indietro
nemmeno nei legni intagliati, saperti
a piedi uniti e con le spalle appoggiate.
Così hai imparato la misura dello spazio
hai aperto la cerniera del vento come fa
l’abisso
baciato la pupilla
osando il perdono di te stesso
davanti a tutte le finestre che danno sul retro
lì
hai sentito la magnificenza
nello stesso momento in cui metti
a confronto le lettere maiuscole e minuscole.
Hai mai pensato di svegliarti presto
passeggiare l’occhio fresco
e la guancia nella neve nuova
frugare a lungo con il naso
gli invisibili segreti
voci profetiche sospese
intorno ai lampioni, alla fontana
padrona della piazza.
La luce fa così quando scuote il fuoco
di dicembre e si sparge sopra i tetti,
sugli specchi impolverati, sul monte.
Un rito silenzioso e astuto
testimone di chi scrive da lontano
e aspetta il giorno crescere
lievito o anima.
L’assenza ha una forma quieta
dischiusa, indecifrabile, bianchissima
un tumulto di cellule nella gravità delle spalle
fino a riaprire un rumore spezzettato
fermato nell’ansietà del chiarore tra due costole
nello stesso istante piegate alla redenzione
mansueta. Sembra possibile la partecipazione
la prima appartenenza fuori da queste cose
in cui metto le mani, un bicchiere, un rosario,
un libro, tante voci e mai la tua.
Mille volte i canti delle magnolie
ritornano nell’imbrunire
al mio respiro.
Non temono l’intreccio dei venti
né linee curve nel seno delle nuvole.
Indugiano solo quando l’eco disperata le insegue.