a cura di Rita Bompadre

“Algoritmi di scacchi e passi d’angeli” di Simone Corvasce (Nulladie Edizioni, 2021) è un libro interessante e un efficace strumento intellettivo, prodotto con sincera padronanza nell’inquadratura progressiva del tempo, delimitato dallo spazio emozionale del poeta.

L’autore mette in risalto, attraverso uno stile solido e profondo, il principio sconfinato di simboli e immagini incarnati nelle sue poesie, riveste la transitorietà del genere umano di resistenza benevola, realizza il disegno elegiaco dell’ispirazione, disponendo l’accordo delle reazioni dell’inconscio esistenziale nello spirito della misura primitiva e dimostrativa della riflessione interiore.

I testi insegnano il proposito sapiente della comunicazione con il fondamento dinamico dei quesiti filosofici e delle meditazioni religiose, manifestano la rivelazione spontanea dell’intelletto, esprimono nella direzione immaginativa del pensiero la vocazione creativa, l’avvicendamento analogico ed emblematico delle parole accostate alla forma di un divenire spirituale, rintracciando nell’osservazione delle esperienze l’adesione alle nascoste significazioni delle atmosfere archetipali.

Simone Corvasce presenta una poesia lirica, classicista, procede lungo i sentieri tortuosi dell’uomo per identificare il segno della soggettività interpretativa, la sostanza primaria dei contenuti colti, l’intuizione dell’appiglio poetico come assoluta e visibile realtà esegetica. Coglie i frammenti di una esistenza frantumata dal disorientamento delle incertezze e dalla mancanza di una linearità permanente, riceve l’influenza della vulnerabilità e della consapevolezza delle reminiscenze biografiche, la consistenza quotidiana della solitudine, le risposte all’abbandono desolato, la paura suscettibile, il senso angoscioso del nulla.

“Algoritmi di scacchi e passi d’angeli” ha il nobile carattere dell’essenzialità dialettica, restituisce alla compassione degli incontri la metafora delle sensazioni immediate, il corrispettivo ontologico della condizione drammatica dell’uomo, la rivelazione dolorosa della vita, il riflesso degli instabili volti dell’anima. Il poeta è messaggero del valore culturale, sostiene la funzione speculativa nella difesa della misericordia umana, replicando alla precarietà dei comportamenti l’intensa forza morale.

La ricercata dilatazione dei fantasmi introspettivi attenua l’estensione della sottile malinconia, corregge l’equilibrio del tempo presente, compensa la condensazione della passione rinnovata oltre l’oblio dell’impulso affettivo. La sensazione inconfondibilmente tragica e tradizionale del destino concretizza, nell’orientamento sincero dei versi l’inquietudine moderna, nelle oscurità enigmatiche delle condanne la rassegnata lucidità, coniugando andamenti tormentati di contemporanea sofferenza.

L’entità della realtà poetica trae ispirazione dall’esortazione della coscienza e dalle questioni funzionali della saggezza, dal significato sensibile e romantico della congiunzione inscindibile con la natura e l’armonia della conoscenza umana.

Simone Corvasce dipinge una spiegazione della finitezza, delineando l’esposizione delle possibilità, la dottrina e la ragione della sensibilità, attraverso il rammarico e la continua analisi della consapevolezza, per oltrepassare la peregrinazione affannosa e disperata dei sentimenti. 

Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti”

pagina facebook :

www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

Dialettica Trascendentale

Per sfuggire ai diluvi la colomba

s’è inoltrata più in alto d’ogni cielo.

Ho temuto per lei, ma ecco che torna:

non reca il ramoscello

d’un’altra metafisica.

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Non è la vita a concedere meno

di quello che promette. Anzi concede

molto più del dovuto. Per tortura.

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Un orologio rotto segna l’ora

giusta due volte al giorno.

Gli altri, al contrario, sbagliano

di secondi, o minuti, ogni momento.

Siamo sicuri di cosa vogliamo?

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Un pensiero scambiato a mezzanotte.

Un attimo che vale l’universo.

La tenerezza d’esser soli in due.

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Letteratura

Il treno, all’alba, ripete stazioni

di ieri: all’infinito, necessarie.

Ero me stesso. Adesso?

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                                              Ed essa inquieta chiede la tempesta, 

                                                   come nelle tempeste fosse pace!

                                      M. Lermontov, La vela, trad. T. Landolfi, Adelphi

La tempesta è passata. Quale cuore

paventa un mare placido?, e la brezza

che accarezza i capelli non sarà

dolce da sciogliere un pianto sincero?

Ecco che a me è preclusa questa gioia

vana, il riso d’un uomo sollevato:

dammi tempesta, e un senso, anche se duole!

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Un turbine, un delirio,

fuoco che gonfia il petto

e che vorrebbe esplodere…

Perciò è giusto destino

vivere a patto d’essere schiacciati,

oppressi da chilometri di cielo,

forse troppo lontano.

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Congedo

Mi domando da tempo

se questa mia inquietudine,

se questa mia poesia

gioverà mai a qualcuno.

Bramo una verità

che non ho. E quel che posso

cantare è solo il dubbio.

Io non sono la luce.

Neanche posso indicarla.

Posso solo gridare nel deserto:

“Preparate la via

a colui che verrà

additando le stelle”.

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