![]() In occasione dei 147 anni della Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon il presidente dell’Istituto ne ripercorre la storia, attualizzando il ruolo dell’INGORTP e approfondendo il valore della memoria storica.(Paolo Borgi / netmediacom) Ospite al gala di beneficenza in favore di “Casa Sant’Anna Onlus”, anche ilCapitano di Vascello Ugo d’Atri, presidente dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon (INGORTP), ha concesso un’intervista in esclusiva ai microfoni della startup innovativa Netmediacom (www.netmediacom.eu), la nuova agenzia di stampa specializzata nel Brand Journalism, nell’ambito di un progetto in collaborazione con il Gruppo Digital Marketing dell’Università di Roma «La Sapienza». STORIA DI UNA SCELTAPura dedizione e riconoscente rispetto per la Dinastia Savoia. Storia di onore e valori che dura da oltre centoquaranta anni. Una storia che la Guardia d’Onore alle Tombe dei Re d’Italia, imperterrita, continua a portare avanti, con un servizio di sincera fedeltà e devozione alla Corona del Regno d’Italia. Non a caso, infatti, l’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe è il più antico ente combattentistico d’Italia, con 147 anni all’attivo da poter festeggiare del 2025.Umberto I, secondo Re d’Italia nonché il “Re Buono”, ascoltò la proposta delle associazioni dei veterani delle guerre d’indipendenza e il 18 gennaio 1878, esattamente nove giorni dopo la morte di Vittorio Emanuele II, accettò favorevolmente di mantenere viva la riconoscenza verso Casa Savoia.A tal riguardo, le associazioni si offrirono di prestare un servizio di guardia alle spoglie di quello che consideravano esser stato proprio l’artefice dell’unità, il “Padre della Patria”. Il servizio, con la modifica dello statuto nel 1900, fu poi esteso anche al “Re Buono”, assassinato a Monza nello stesso anno, e qualche anno più tardi, nel 1926, all’augusta consorte, la Regina Margherita.Il luogo designato per la sepoltura degli ex regnanti fu il Pantheon, situato nella magnifica cornice della Capitale e noto storicamente come tempio di tutti gli dei. A livello di cronistoria, il monumento deve il suo splendore al restauro di Domiziano e alla ricostruzione dell’imperatore Adriano, grazie ai quali è riuscito a resistere alle ferite del tempo e mantenere intatta la sua bellezza. Bellezza non meramente estetica ma soprattutto architettonica, in virtù di un cilindro che sostiene la più grande cupola mai costruita in muratura, con un diametro di oltre quaranta metri (43,3 m per l’esattezza).In un clima di massima ospitalità è la Guardia d’Onore in servizio alle Reali Tombe che, al Pantheon, accoglie i visitatori e riflette il consapevole onore che gli è conferito. L’importanza della custodia e della protezione alle Reali Tombe è riconosciuta, oltre che dagli addetti ai lavori, anche dal Ministero della Difesa che, parallelamente alle altre associazioni d’Arma, ha riconosciuto la longevità dell’Istituto e gli ha concesso l’ordine di precedenza più importante nelle varie sfilate, in virtù dell’essere il più antico ente combattentistico d’Italia. IL PONTE TRA PASSATO E FUTURONel primo messaggio augurale di inizio anno, dopo la scomparsa di suo padre, Emanuele Filiberto di Savoia esordisce ricordando la perfetta combinazione tra pragmatismo Savoia e dolcezza familiare del Principe Vittorio Emanuele. Un lutto doloroso ma che ha portato Emanuele Filiberto a dedicarsi ancor più intensamente agli Ordini Dinastici di Casa Savoia, Ordini Cavallereschi che «con le loro tradizioni secolari, continuano a promuovere la solidarietà e la giustizia e —scrive così l’augusto Principe— rappresentano un solido legame tra il nostro glorioso passato e il nostro futuro promettente, un testimone che portiamo avanti con onore e senso di responsabilità».Parole che dimostrano il plauso di Emanuele Filiberto per coloro che, in nome del glorioso passato Savoia, tendono la mano alle nuove generazioni e si configurano come ponte per costruire insieme un futuro migliore e affrontare nel miglior modo possibile ogni qualsivoglia sfida globale. L’ovazione, ovviamente, è rivolta anche all’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon con un particolare ringraziamento nel quale il S.A.R. Emanuele Filiberto di Savoia pone l’accento sul valore della custodia: «tale sodalizio è fortemente impegnato, accanto al sottoscritto, affinché le Spoglie dei miei Avi, i Re e le Regine d’Italia —e, in particolare, quelle dei miei Nonni, il Re Umberto II e la Regina Maria José, ancora sepolte in terra d’esilio— possano raggiungere la legittima dimora consacrata dalla storia al Loro eterno riposo: il Pantheon di Roma». 85 ANNI E 7 SOVRANI: OBIETTIVO RIUNIFICAZIONECon un’esperienza ultraventennale a servizio delle Guardie d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon, il presidente dell’Istituto, il Capitano di Vascello Ugo d’Atri, è intervenuto ai microfoni Netmediacom rilasciando un’esclusiva intervista nella quale ha raccontato a trecentosessanta gradi oneri e onori dell’INGORTP.Quella del 2025 Emanuele Filiberto spera sia stata l’ultima commemorazione dei nonni su suolo francese, con l’augurio di vedere presto sepolti al Pantheon l’ultimo Re d’Italia Umberto II e la consorte Maria José del Belgio. Una battaglia che, logicamente, ha a cuore anche l’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe che nel suo essere custode della memoria dei sovrani d’Italia trova nel Pantheon il riferimento fisico dove onorare il ricordo dei quattro re e delle tre regine d’Italia. Al momento, le salme di due re e quella di una regina sono fisicamente al Pantheon, ma mancano le salme di altri due re e due regine che l’Italia ha avuto.«La nostra speranza è che ci sia una riunificazione fra le salme di questi 7 sovrani che l’Italia ha avuto in 85 anni di storia. Il nostro Istituto ha cercato con forza e con tutte le sue risorse possibili di raggiungere questo obiettivo (riportare le quattro salme al Pantheon, ndr), in particolare parecchi anni fa —ormai— attraverso il Parlamento con una raccolta firme e una proposta di Legge al Senato. È rimasto, però, tutto opera morta perché le legislature terminavano senza un risultato» spiega il Capitano di Vascello Ugo d’Atri.«Dal 2013 al 2017 —prosegue il presidente dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore— abbiamo escogitato un altro modus operandi, cioè atti notarili firmati dagli eredi dei sovrani che attestavano la propria disponibilità a conferire, all’Istituto, mandato affinché le salme venissero riportate in Italia. Noi abbiamo fatto tutte le pratiche possibili, contattando anche le ambasciate (in Egitto per via della sepoltura ad Alessandria di Vittorio Emanuele III e in Francia per ciò che riguarda Montpellier e Altacomba per la Regina Elena, Umberto II e la Regina Maria José)».«Abbiamo inoltre informato e chiesto l’autorizzazione alle autorità religiose perché il Pantheon è, prima di tutto, una Chiesa. E abbiamo ottenuto la risposta favorevole dell’arciprete del Pantheon, Monsignor Micheletti, il quale si è rivolto doverosamente ai propri superiori. Siamo andati a parlare anche con il Cardinal Vallini, all’epoca vicario di Roma, dal quale abbiamo un’altra risposta favorevole. Ma nell’ottobre nel 2014 aveva chiesto al Governo italiano di pronunciarsi, non perché il Governo fosse competente in materia, ma perché era un “vicino di casa” di cui era opportuno acquisirne il parere. La risposta, però, non è mai arrivata»racconta il presidente d’Atri.«L’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi dichiarò che qualunque risposta egli desse avrebbe scontentato qualcuno, di modo che non rispose» puntualizza il Capitano di Vascello Ugo d’Atri, ribadendo l’impegno attivo dell’Istituto nel volere riportare le salme dei sovrani in Italia. LA (DIS)INFORMAZIONE DELLA STORIOGRAFIANel 2017 la salma della Regina Elena, prima, e Vittorio Emanuele III, poi, sono arrivate in Italia e sono state sepolte a Vicoforte con un’operazione estremamente rapida e segreta. Obiettivamente, per l’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore il Pantheon è sempre il traguardo finale. E la contraria opinione pubblica in merito alla sepoltura al Pantheon di Vittorio Emanuele III è da imputare, nelle parole consapevoli di Ugo d’Atri, «alla storiografia dominante che, in una situazione di monopolio, insieme agli organi di informazione esprimono giudizi estremamente severi e ingenerosi nei confronti del Re. Però, quella che è un’energica critica all’operato del Re Vittorio Emanuele III non si estende alle figure della Regina Elena, del Re Umberto II e della Regina Maria José, di cui vengono ricordati gli slanci democratici e le operazioni pericolose contro il regime fascista per cercare di far uscire l’Italia dalla dittatura. Figure nei riguardi delle quali non sono mai state espresse quelle critiche che sono state mosse verso Vittorio Emanuele III». MATTARELLA COME CHIAVE DI VOLTAAria di riappacificazione e segnali positivi ora con il sì di Meloni e l’ok del Vaticano? «Attendiamo i risultati. Sappiamo che il cardinale Parolin si è espresso a favore e riteniamo che nel Governo stesso ci siano molte voci favorevoli. Dobbiamo vedere cosa ne pensa il Capo dello Stato che esprime un parere non previsto da alcuna normativa e che si basa sull’opportunità politica. Mattarella, in questo momento, costituisce la chiave di volta per risolvere questa situazione che a noi sta molto a cuore» risponde il presidente dell’INGORTP. CUSTODI DELLA MEMORIAPiù volte nelle linee precedenti si è fatto uso dei valori che definiscono l’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon ma è il presidente della storica organizzazione, Ugo d’Atri, a ripercorrere l’evoluzione dell’Istituto e offrire un’interessante prospettiva nella quale storia e modernità si intersecano.«Noi siamo custodi della memoria storica. Delle salme se ne occupa il ministero dei Beni Culturali. Noi esistiamo dal 1878 e fra 3 anni sono 150 anni di esistenza del nostro Istituto. Istituto di origine militare che fu fondato da reduci delle patrie battaglie, quelle del Risorgimento per l’Unità d’Italia. Accanto al ruolo statico di servizio di Guardia d’Onore alle tombe dei nostri sovrani, noi cerchiamo di affiancare anche un ruolo più dinamico con la proposizione di convegni, conferenze, mostre in favore della memoria storica nazionale, degli 85 anni di storia del Regno d’Italia e della storia militare italiana. Quest’ultima, ad oggi, è riguardata senza quel doveroso rispetto che si deve a chi ha sacrificato la propria vita e giovinezza per la Patria. Morire per la patria è una cosa importante. Oggi si ritiene normale che una persona possa rischiare la vita in autostrada con la propria automobile e muoia per arrivare cinque minuti prima a destinazione. Morire per la propria Patria, per la Nazione, per il Popolo, per la stessa Bandiera e per le cose in cui si crede ha per noi ha un valore di estrema importanza, che merita assoluto rispetto» sostiene il presidente dell’INGORTP. NOI, LORO, GLI ALTRILa memoria è un’umana funzione grazie alla quale tracce di esperienze passate possono divenire monito per sviluppare identità individuali e collettive. È un processo per cui riconoscere il vissuto assume una valenza sociale e pubblica. Nella società attuale, tuttavia, l’indubbio valore della Storia sta venendo sempre meno e nei termini di Ugo d’Atri «consideriamo con raccapriccio il fatto che l’Italia stia perdendo progressivamente la propria memoria storica. Pensate che un po’ di anni un fa un ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Berlinguer, aveva pensato di abolire dai programmi scolastici lo studio della Storia».«Lo studio della Storia —prosegue d’Atri— è stato molto limitato in questi anni e riteniamo che questo fatto produca una perdita dell’identità nazionale. Noi italiani stiamo rinunciando ad essere noi stessi, come se rinnegassimo i nostri genitori, i nostri nonni, chi ha costruito l’Italia Unita».«La gente non sa neanche che cosa è avvenuto durante il Risorgimento, quando ci sono state le Guerre d’Indipendenza, chi ha fatto l’Unità d’Italia. E questo non lo dico in nome di un mio pregiudizio ideologico ma per il semplice fatto che è esistito un piccolo stato, il Regno di Sardegna, che si è fatto carico sui campi di battaglia di realizzare l’Unità d’Italia. Quest’ultima, per noi, è un bene imprescindibile e l’idea che non esista uno Stato italiano, un Paese indipendente con la propria sovranità è un’eresia. Ci sono tanti impulsi verso la possibilità di interconnessioni più larghe, di carattere sovranazionale come l’Europa e l’Occidente. Ma prima di tutto siamo italiani e bisogna credere in questo elemento fondamentale». LA DEVOZIONE NON HA SESSOOggi l’Istituto conta varie migliaia di soci in tutta Italia, in maggioranza militari, in servizio o in congedo, con una nutrita rappresentanza femminile pari a circa il 20%.Nell’errata narrazione dominante, “devozione” e “femminile” paiono essere termini così paralleli che raramente sembrano riuscire ad incontrarsi. Ma a smontare questa convinzione è proprio il Capitano di Vascello Ugo d’Atri che, nelle battute finali della sua intervista, conclude elogiando con profondità la potenza espressiva della devozione.«Non credo che la devozione sia un fatto esclusivamente maschile. Anzi, la devozione religiosa io la immagino soprattutto femminile. Sono sempre le pie donne l’immagine della religiosità. La devozione è un sentimento bellissimo. Si può essere devoti a Dio, alla Patria, alle Istituzioni. Credo che sia un sentimento bellissimo e non soltanto maschile. In questo dobbiamo mettere sullo stesso piano entrambi i sessi. Entrambi perché i sessi sono due»conclude il Capitano di Vascello Ugo d’Atri, Presidente INGORTP. ![]() |
