Esce il nuovo album: uno splendido viaggio nel rock d’autore
dell’artista veneto, milanese d’adozione.
In uscita anche un podcast che racconta, traccia per traccia,
questo nuovo progetto.
Release album 15 Novembre
Un bambino, un ragazzo e un uomo. Il suo diario di vita. Che si traduce in canzoni
scarne e dense dove l’essenziale è quasi solo la voce o lo sono le parole e il
racconto. Fragilità. Forza. Legami non perdibili. Orgoglio. Legami umani. Terra
madre. Valori esistenziali. Amore, naturalmente sempre e in ogni declinazione.
Rabbia. Spiritualità. Ritorno struggente a un passato. Desiderio di scrivere il
domani. Sogni nel vento. Consapevolezza. Santa solitudine. Dialoghi. Frammenti
d’esistenza. Voglia di vivere. Libertà e coraggio come fari della vita dell’artista. Tutto
questo è “Diario di vita”, il nuovo album di Massimo Priviero, in uscita anche in
formato vinile.
«Ogni traccia un capitolo di vita. Forza di vivere. Fragilità di vivere. Nella mia testa, il
bambino diventa ragazzo poi uomo e poi rifà il suo giro. Passato, presente, futuro.
Sequenze emotive. Talvolta foto struggenti introverse e acustiche, di cifra poetica in
scrittura del testo, altre volte scariche d’energia elettrica di quel che chiamiamo rock
d’autore, ormai da tanti anni cifra mia, dove hai bisogno di parole che suonano e
reggono ritmiche. Inizio, sviluppo, compimento d’esistenza. Artistica e di vita. Perché
sono io stesso quel che scrivo suono e canto. Ho da tanto tempo gran distacco
sonoro e ancor più di prassi e valori rispetto a quel che gira intorno. Nelle sue
molteplici forme e pure in ciò che è chiamata visibilità e comunicazione. Certo non
amo granché quel che gira intorno. Vero che, spesso, la mediocrità identificante è
salvifica. Poi, ovvio che ciò che è banale e talvolta un po’ infame prescinde da ogni
suo successo. So ben poco di ciò che accade in televisioni, radio commerciali, social
e altro di prossimo. Faccio pure il mio più possibile per non giudicare. Mi importa
poco di certa fama, pure sperimentata, se essa non è rapportata ai talenti di un
uomo. È discorso d’esistenza. Credo anche probabile che questo sia l’ultimo album
della storia mia. Detto con un sorriso e per ragioni che un uomo “vero” non racconta
al mondo e al suo circo mediatico. Ma chissà, forse capiterà che un giorno dica di
come sto. Grazie a Dio, conservo una sorta di esistenza laterale innamorata della
vita. Del sorriso, del pianto o del sogno come del sudore o del lavoro che la
accompagna. Ho da render conto con le parole, con la musica e con la mia voce ad
un frammento di popolo che mi cerca e che trova dentro a quel che faccio un modo
simile al suo di stare al mondo. Tradurlo, suonarlo, cantarlo e magari talvolta
sublimarlo è mestiere mio. Forte e fragile. Ho da render conto a chi mi è davvero
vicino. E ho da render conto ai valori in cui credo. E ho da render conto alla mia
anima o a ciò che ne è equivalente. Tutto il resto per me conta poco.» Massimo
Priviero
Ad accompagnare l’uscita del disco vi è anche un podcast con la viva voce
dell’artista che racconta traccia per traccia il suo nuovo lavoro:
https://www.priviero.com/discografia/diario-di-vita/podcast-diariodivita/
«Ho pensato – racconta Priviero – che fosse una buona idea approfondire a voce le
suggestioni, le ispirazioni e il perché di composizione e di realizzazione dell’album.
Traccia per traccia. Credo sia in linea con l’idea di un Diario di Vita che raccoglie
immagini e passaggi esistenziali. Tutto è inciso con molto istinto e senza particolari
orpelli. Con nello sfondo la base strumentale e una sorta di confessione a voce con
cuore aperto. Senza alcuna foto e con durata non estesa. E’ cosa in qualche modo
forte e fragile nello stesso tempo. Come se fosse lo specchio di quanto potete
ascoltare nell’album. Non parole inutili che si aggiungono ma come un quadro ideale
dove possiate in caso inserire vostri pensieri ed emozioni. Grazie di cuore per
l’ascolto»
La data di presentazione di “Diario di vita” è prevista per il 9 novembre a Legnano
(Mi), presso il Teatro Tirinnanzi.
DIARIO DI VITA – track by track scritto dall’artista
IL MIO FIUME
Mio nonno paterno era una figura molto centrale nella mia infanzia e nella mia adolescenza.
Nato a fine ‘800, giovane soldato valoroso e decorato sul Piave, poi pescatore, operaio, padre di
4 figli, appassionato lettore, da autodidatta, di classici della letteratura. Lo immagino ancora oggi
camminare vicino a me, lento nella sua vecchiaia consumata fino alle ultime gocce, un piccolo
sigaro toscano che ogni tanto
compare, la riva del mare che si mescola con la foce del Piave. I suoi silenzi quando gli chiedevo
della sua guerra di ragazzo, i suoi sorrisi quando parlava della nonna e dei figli, tra cui
ovviamente mio padre, la sua intatta chiarezza stanca quando toccava con le parole i luoghi
della vita dove il destino lo aveva fatto lavorare ogni giorno da mattina a sera. I suoi ideali
intoccabili. Il legame indissolubile con la sua e dunque con la mia terra. Che era dentro di lui. E
della quale conosceva ogni respiro, ogni luce, ogni ombra, ogni parola.
IL SOGNO
La vita e il destino mi fecero, fin da ragazzo, un grande regalo. È questa cosa di non
soffrire per quella che chiamano solitudine. Anzi, spesso di cercarla e di abbracciarla. Ero un
ragazzo solitario, spesso in pesante conflitto col mondo intorno che non amavo e che non
sentivo mio. E il mio sogno, nella sua accezione nobile alla luce di un sole e dunque non nel
rifugio di chi non ha le armi e la forza per crederci, era quanto di più grande e concreto potessi
cercare e immaginare. Era il sogno di realizzazione della mia vita e delle sue aspirazioni. Era
pure quello di riuscire a trasformare passione e magari talenti in un mestiere di cui vivere. Era la
bellezza. Era l’intensità emotiva. Era essere in piedi lungo la strada che a poco a poco prendeva
la sua forma e che doveva collimare coi miei desideri.
Coi miei valori. Anche con le mie ambizioni. Non era sogno migliore o più grande di altri. Ma era
il mio. E nessuno avrebbe potuto spezzarlo perché io lo avrei inseguito per sempre. E lo avrei
difeso. Coi denti. Con la testa. Con l’anima.
IL MARE
Scrivere canzoni d’amore, intendo quelle propriamente dette, non è mai stato il mio tratto
caratteristico o migliore. Ne avevo scritto ed inciso un paio di nuove con queste caratteristiche
anche per questo nuovo album. Ma poi mi rendevo conto che ciò che timbrava in maniera per
me ottimale questo diario di vita esisteva già ormai da qualche anno. Dunque ho deciso di
rimetterci mano e voce. Volevo lo struggimento del ricordo. Volevo la riva del mio mare. Volevo
gli occhi e la voce che mi suonava dentro di chi ho tanto amato da ragazzo. Ma volevo anche
l’idea di nuovo amore da cercare per chiudere giusto con quel tipo di parole ogni inciso della
canzone. Volevo vita che continua. Nuovo giorno che ricomincia. Che ovviamente non ti fa
dimenticare quel che hai vissuto e che certo pure non lenisce, in caso, pene del tempo d’amor
perduto. Fa parte del gioco di ogni esistenza. Giusto? Ma fa parte del gioco anche andare avanti
e cercare nuova strada. Serve per costruire e per trovare nuovo amore.
VINCERE
Prendete un riff di chitarra d’assalto. Raddoppiate il tempo di una batteria. Enfatizzate
l’uso della voce e andate incontro alla vita con forza e col coltello tra i denti. Pensate che quel
che desiderate è vincere e che il mondo che sta intorno vi debba trattare come vi meritate. È una
bella illusione ovviamente. Ma vi fa tanto piacere caricare idealmente il vostro fucile fosse pure
per sparare verso il cielo. Pensi a quando sei stato bambino, poi ragazzo e a quando sei
diventato un uomo. Ti rivedi, come è nel caso mio ma ognuno può costruire una sua immagine,
con chitarre bassi batterie pianoforti e tutto il necessario in una bella sera e sopra un qualsiasi
palco e ti viene anche da dire “se vi avvicinate vi faccio vedere io come si fa”. Anzi forse meglio
che non vi avvicinate troppo che vi spaventate. Sorrido. Questo è anche stato. Poi la vita non è
né vincere né perdere. E lo impari per strada. Vincere o perdere? Stronzate. La tua vera e unica
vittoria e quella di capire se la tua vita ha avuto e se ha un senso e un valore. Facile? Facile per
niente.
FINO ALLA FINE
Fin da ragazzo pensavo che comunque fosse andata la vita sarei stato l’ultimo ad alzare le mani.
L’ultimo ad arrendersi nella mia guerra santa col mondo che girava intorno. Il tempo
ti aiuta ad acquisire poi un concetto fondamentale. Che vincere o perdere, nel modo in cui
questa idea viene declinata dai più, non ha alcun valore né senso. O se preferite che il mondo è
pieno di mediocri e di pavidi di successo e di sconfitti o di perdenti che han valori e talenti
infinitamente più grandi e più nobili. Detto in due parole. La fortuna non c’entra nulla. C’entra
dell’altro che non stiamo qui ad elencare. Specie quando sei tu a scegliere il gioco che vuoi fare.
Il tuo coraggio e la tua libertà non sono misurabili alle “medaglie” che ti assegna il sistema di cui
più o meno fai parte. Medaglie che spesso contano poco o niente. TI resta saldo il concetto da
cui sei partito. Se ti resta saldo ciò che chiami un modo di stare al mondo che ti sembra migliore
e più giusto per te. Ti resta saldo di difendere quel tuo modo. Quel tuo valore. Fino alla fine. Del
tempo e del gioco di vita che fai.
IL SUONO
Nel testo della canzone mi è venuto di chiamarlo suono ragazzino. Non lo è, naturalmente. Anzi.
Ma è quel suono di band soprattutto di matrice americana, se volete molto ben sublimato da
Springsteen e soci, di cui io e i miei amici ci eravamo innamorati intorno ai vent’anni durante
lunghe sere meravigliose trascorse a incrociare strumenti. Per tale ragione il testo si rivolge ad
un amico mio carissimo. E per tale ragione il testo si aggrappa con forza al passato per poi
approdare ad un sorriso nel presente. Come se questo suono, come se questa energia non
potesse essere sconfitta dal tempo che scorre. Per cui immaginate ritmiche sempre in spinta,
chitarre spianate, pianoforte puntato sulle note acute e tutto il resto che ci va insieme. Piacere
assoluto di suonare. Rock d’autore o dategli voi un nome. Progressioni armoniche dritte come
dei fusi. Voce tirata e felice, occhi chiusi quasi a nascondere commozione senza tempo. Questo
era. Questo è. E sono semplicemente felice e anche orgoglioso di aver vissuto tutto questo fino
in fondo.
AMICO PER SEMPRE
Mi resta un solo vero amico dei miei vent’anni. Posto che ormai tanti anni fa, alla fine degli anni
ottanta e quando io ne avevo venti e rotti, lasciai la mia terra di nordest in direzione Milano. E la
vita poi è passata, nonostante ci fossero e ci siano i miei raid ogni due tre mesi verso la riva
adriatica dove ancora vive mia madre. Ma dicevo del mio unico vero amico, probabilmente.
Legame che il tempo e le distanze hanno cambiato inevitabilmente, ma che non è mai venuto
meno. Che è rimasto forte. Così questo mio abbraccio spero abbia buone ali per arrivare fino a
Udine dove lui e la famiglia che si è costruito negli anni vivono. Innamorato di letteratura e di
cinema, lui sì malinconico tanto se ce n’è uno. Ci sentiamo. Ci scriviamo. Ci vediamo ogni volta
che sono dalle sue parti. Per quelle cene a quattr’occhi che sono più o meno sempre una specie
di bilancio che ci facciamo rigorosamente lui ed io da soli. A dirci tanto. Ovviamente anche di figli
cresciuti e di fragilità e il tempo che passa e tutto il resto. Forza amico mio. Sempre. Ci sono. Ed
è bellissimo che tu ci sia.
CANTICO
Son stato e sono ancora un appassionato di antiche melodie della tradizione scozzese e
irlandese. Magari fin verso il 1600/700/800. Spesso hanno la peculiarità di avere caratteristica
epica, cantabile pure in coro, che però si accompagna a dei testi di assoluta malinconia. Ma,
detto giusto per capirci, il fatto che la storia d’amore purtroppo prima o poi finisca non impedisce
alla canzone d’ essere cantata da migliaia di persone magari anche in uno stadio di calcio. È con
questi pensieri che riascoltavo giusto “Loch Lomond”, melodia traditional del settecento
scozzese. Il suo riferimento e la progressione armonica mi sembrarono perfetti per impostare
questo canto esistenziale e solitario. Immaginate dunque un’alba dove uno si mette in cammino.
In un luogo un po’ appartato ma nella natura dove un uomo può liberamente cantare, anche a
voce piena, senza che il mondo intorno gli dia del matto. Voce sola. Voce che fa un gran bel salto
di tono. Strumenti che si aggiungono. In italiano. Con spirito scozzese.
BUONGIORNO ANIMA
Ecco appunto. Dialogo con te stesso. Talvolta sorridente. Adesso uso una parola che
detesto, pure abusata e sputtanata nel tempo che viviamo. La parola è leggerezza. È la chiave
spesso usata dall’idiota più o meno consapevole. Non lo so, pensate a uno
speaker più o meno scemo di una televisione o di una radiolina commerciale. Convinto che la
sua superficialità o la sua stupidità sia da chiamare leggerezza. Penso a Italo Calvino che si
rivolta nella tomba. Per cui questa canzone vuole essere leggera, pur con qualche seria badilata
all’interno, e mi serve che ci sia visto anche il “peso” che hanno molte canzoni dell’album. Ma la
leggerezza non è idiozia. Però vallo a spiegare. E aggiungo che non credo affatto che la
leggerezza sia la chiave di una qualche salvezza. Per niente. Penso che possa essere uno stato
d’animo che serve. Che può essere utile e giusto. Divertente. Probabilmente con dentro una cifra
di umiltà che dobbiamo inventarci per non soccombere al mistero della nostra esistenza. Punto.
Buongiorno anima. Mi prendo con me anche questa faccia tua.
IL MIGLIORE DEI MONDI POSSIBILI
Avevo infilato una versione del brano tanti anni fa in un album live. Forse senza dargli il giusto
risalto. C’è questa idea per cui l’opinione di molti è quella per cui il nostro occidente, almeno così
lo chiamiamo, sia il migliore dei mondi possibili realizzati. Quello con più libertà, quello con più
diritti, quello con più tutele. Qualcuno potrebbe dissentire? Qualcuno potrebbe dire che per
esempio sotto una dittatura vivremmo meglio? Certo che no. Solo che questo concetto viene del
tutto distorto e manipolato per essere usato in forma di convenienza. Solo che la questione
invece è un’altra. Quanto potrebbe essere migliore il mondo possibile? E la semplice risposta è
che potrebbe essere infinitamente migliore. Non serve neppure scomodare John Lennon e
cantare un capolavoro come “Imagine”. Che è l’approdo di un uomo se ben ci pensate. Chissà,
forse basterebbe semplicemente declinare in modo vero un concetto che chiamiamo bene
comune. La nostra individualità infinitamente migliorabile, il nostro pensare e agire in termini di
comunità è infinitamente migliorabile. Non c’è nessuna ragione che ci deve impedire di lavorare
per questo. Per costruire davvero il migliore dei mondi possibili.
PROSSIMA VITA
Ah, ho certezza che non vivrò 500 anni. Un gran peccato! E, da fragile credente, ho certo
speranza che esista un aldilà. Che è chiamata Spes contra spem disse un santo in latino tanti
secoli fa. Ma naturalmente, come giusto e ovvio che sia, neppure di questo abbiamo certezza.
Però mi capita di chiudere gli occhi e di immaginare. E quando per strada trovo giusto un sorriso,
non necessariamente dopo del vino buono, mi piace ribaltare tutto quanto e disegnare nella mia
testa un colore che a me arriva bellissimo. Per il mondo e per me stesso. Mi piace credere che i
miei valori siano abbastanza saldi e che siano giusti. Per questa semplice ragione mi piace
immaginare una futura esistenza bellissima. Dove questi che qui chiamo valori riescano ad
essere ancora più forti di quanto lo sono nei miei passi di oggi. Li prenderei per mano. Gli direi
aiutatemi a camminare. Nel mio caso, magari gli direi anche di aiutarmi a dare tutto quello che
ho. Perché possa servire ad altri uomini. Perché possa dare una mano. Perché possa dare un
senso migliore a quel che sono e a quel che sarò.
RITRATTO
Quando scrissi questa sorta di lungo soliloquio in musica, inizialmente lo avevo intitolato
commiato. Perché mi sembrava il saluto finale di un musicista durante un passo della sua
essenza solitaria. Lo composi, lo incisi e poi lo misi in un cassetto ideale. Ero fate conto più o
meno a metà della scrittura dell’album. Ascoltavo in quei giorni un vecchio meraviglioso disco di
Van Morrison (Astral Weeks) e Ritratto è in qualche suo modo figlio di “Madame George”. Un
solo e ostinato giro armonico che prende forma e densità a poco
IL MIO NOME È PACE – bonus track
È naturale quanto la pace sia o meglio dovrebbe essere il bene supremo per l’umanità. Allo
stesso modo viviamo quello che ben sappiamo a varie latitudini. In altro piano, potremo
facilmente approfondire di guerre che pure potremmo definire giuste se fatte da popoli aggrediti o
di guerre fatte per la libertà magari anche scomodando la storia del nostro paese. E possiamo
andare avanti parecchio in simili declinazioni. Questa canzone non vuole essere un semplice
inno alla pace. Ne sono stati fatti tanti, da quelli più memorabili fino ad arrivare a quelli più
scontati. “Il mio nome è pace” è prima di ogni altra cosa la traduzione e l’abbraccio ideale che io
devo a ogni combattente per la pace. Dunque è un abbraccio a un essere umano che combatte
in tanti fronti e che si pone come primo pensiero quello di soccorrere e di salvare vite. Questo
viene prima di ogni cosa. Questa è cosa davvero sacra. Un uomo che combatte per la pace. Al di
là di ogni distinzione religiosa per esempio. Al di là di un colore politico o di un confine. Essere
guerrieri di pace. Essere volontari di pace. Non è nata per caso la mia vicinanza con
l’associazione “Prohumanity”. Associazione che ammiro e alla quale sono in questi tempi assai
legato. È questione di destino. È questione di ideali di vita che camminano con le stesse gambe
e che una qualche stella un giorno ha deciso di far incontrare. C’è tanto da fare. Insieme.
Etichetta: Contamionation / Multiforce (www.multiforce.it)
Edizioni: Multiforce Publishing
Radio date: 15 Novembre 2024
INFO, MUSIC & VIDEO
https://www.multiforce.it/massimo-priviero/
BIO
Massimo Priviero nasce ad inizio degli anni sessanta e cresce a Jesolo sul litorale
veneziano. Dall’ascolto e dall’amore per il folk, il blues e il rock d’autore prende forma la sua
cifra artistica unitamente a una ricerca poetica che ne caratterizza presto suono, scrittura e
composizione. Allo stesso tempo, i suoi interessi di vita lo portano da un lato a un tempo di
vagabondaggi in giro per l’Europa (“…suonare per esempio Dylan alle fermate di
metropolitana o in piccoli club, quando avevo vent’anni, e anche solo vivere “sulla strada” fu
una lezione di vita indimenticabile”) e dall’altro ad approfondire studi letterari e storici
all’Università di Venezia dove tra l’altro si laurea in Storia contemporanea. Proprio ciò che
chiamereste poetica “di strada” nel suo senso più lirico caratterizzerà soprattutto i primi anni
della sua produzione musicale. Trasferitosi a Milano alla fine degli anni ’80, dopo aver
firmato per Warner Music, nel 1988 incide a Londra e pubblica a ruota l’album d’esordio
intitolato San Valentino. Il disco, che inaugura il suo lungo viaggio nel rock d’autore,
avrà anche un notevole successo.
Nel 1990 esce Nessuna resa mai con la produzione di “Little” Steven Van Zandt, chitarrista
e coproduttore di Springsteen e la partecipazione di vari membri della PFM. Al di là
dell’ottimo riscontro anche in termini commerciali, questo tempo vede spesso Priviero
impegnato anche sul fronte sociale. L’artista è per esempio chiamato da “Sos Racisme” per
essere il testimonial italiano delle sue battaglie. È rilevante l’attività live, con la sua band ma
anche insieme a grandi artisti internazionali. Citiamo a memoria, tra le tante del periodo, le
performance live insieme a David Crosby.
Nel 1992 pubblica Rock in Italia. Una parte della produzione artistica è affidata tra l’altro a
Massimo Bubola. Seguiranno Non mollare (1994) e Priviero (1998), quest’ultimo con la
produzione artistica di Lucio “violino” Fabbri. “…In quegli anni era difficile spiegare che avevi
scelto tu di uscire dal gioco delle multinazionali della musica. Prima di tutto perché non eri
un uomo in vendita o perché eri scomodo e dicevi quel che pensavi. Detto in due parole.
Non andare più in televisione e non sentire più le tue canzoni nelle radio commerciali voleva
dire per la massa che tu sparivi o che avevi perso e che non eri diventato la star come
sembrava dovesse succedere. Questo era. Ma, a torto o a ragione, sentivo che era la
scelta giusta per me. Volevo vivere dei miei dischi e dei miei concerti. Il resto, comprese
etichette discografiche grandi o piccole, manager, produttori eccetera eccetera veniva molto
dopo e contava molto poco”
Nel 2000 esce Poetica, nel 2003 Testimone e nel 2006 Dolce Resistenza. In quest’ultimo,
inizia la collaborazione col chitarrista e arrangiatore Alex Cambise che lo affiancherà poi per
molto tempo. In Rock & Poems, 2007, Priviero reinterpreta i grandi classici americani dei
’60-’70: da Dylan a Waits, Fogerty e tanti altri. Nel 2009 esce anche l’antologia “Sulla
strada” distribuita, come già accaduto anche per molti suoi precedenti lavori, in vari paesi
europei.
Nella primavera del 2010 esce il primo live ufficiale anche con Dvd intitolato Rolling Live a
timbrare i tanti tour dell’artista. Energia. Impatto emotivo. Rock d’autore nella cifra più alta.
Voce. Forza di vivere. E a tirare anche le somme dal punto di vista dei numeri, c’è da dire
che i suoi album finiscono comunque nei top 50 delle classifiche ufficiali di vendita. Esce in
questo periodo anche un libro/biografia scritto su di lui dallo scrittore Matteo Strukul intitolato
“Nessuna resa mai. La strada, il rock e la poesia di Massimo Priviero”.
Priviero si dedica in questi anni anche a spettacoli di musica e teatro civile (citiamo tra gli
altri ”Dall’Adige al Don” insieme allo scrittore Roberto Curatolo, le “Storie dell’altra Italia”,
firmato coi Gang e Daniele Biacchessi fino al più recente concept sull’emigrazione italiana
nel mondo tra ieri e oggi) e incide, servendosi però di uno pseudonimo, anche alcuni album
di musica gospel con taglio davvero originale e che ottengono ottimi riscontri.
Nel 2012 esce l’album Folkrock, realizzato con il violinista Michele Gazich, un viaggio
acustico che rilegge e reinventa classici della musica internazionale. Nel 2013 pubblica “Ali
di libertà”, un nuovo album di inediti sempre in bilico tra rock d’autore e poesia, assai denso
di tracce autobiografiche. Chiude il lungo tour, in Italia e non solo, con un sold out all’Alcatraz
di Milano, registrato e successivamente pubblicato col titolo “Massimo”.
A fine 2014 insieme a un gruppo di musica etnopopolare (i“Luf”), realizza un lavoro intitolato
“Terra e pace” dove vengono rilette le più celebri melodie della tradizione alpina italiana.
Numerosi, in tutti questi anni, oltre ai concerti, i riconoscimenti di pubblico e di critica,
insieme ai premi (citiamo solo Premio Lunezia e Premio Enriquez, tra i tanti ed è più volte
ospite all’Ariston per il premio Tenco).
A fine 2017 esce All’Italia, un concept che omaggia storie di vita degli italiani di ieri e di
oggi, vero atto d’amore per il nostro paese. Segue un lungo tour, italiano e non solo, che
terminerà a Città del Messico dove è invitato dall’Università e dall’Istituto di cultura italiano,
dopo esser comunque stato precedentemente in vari paesi come Spagna, Francia, Belgio
e Croazia. Alla fine del 2018 celebra 30 anni di carriera nella prestigiosa cornice del Teatro
della Triennale di Milano. Le canzoni di “All’Italia” diventano colonna sonora del docufilm
Italia Addio non tornerò, tra l’altro presentato al Senato della Repubblica oltre che in vari
istituti di cultura italiana del mondo.
Durante questo periodo, scrive di getto il libro Amore e Rabbia che esce nella primavera del
- Un mix di autobiografia, romanzo di vita e percorso di autocoscienza scritto in un
inverno trascorso in riva al suo mare d’alto Adriatico. Le numerose presentazioni si
trasformano in un vero e proprio spettacolo di parole e musica che viaggia parallelo ai
concerti.
Nel 2021 esce “Essenziale”. Di matrice prevalentemente acustica, con forti tinte esistenziali
e scritto durante il tempo dell’epidemia. Forza e fragilità in equilibrio felice ad alto impatto
poetico dove scrittura e vocalità toccano il loro punto più alto. La rivista Buscadero, che più
volte in passato aveva votato i suoi album come dischi dell’anno definendolo “la voce più
bella e più vera del rock d’autore italiano” gli dedica, fatto rarissimo per un italiano, la
copertina.
L’autunno 2024 porterà l’artista a pubblicare un nuovo album di inediti intitolato “Diario di
vita”.
Ci fa piacere in questa sede riportare delle citazioni che riguardano l’artista, anche per
rendere omaggio a due splendidi giornalisti, di recente comparsi.
«Massimo Priviero. La voce più bella e più vera del rock d’autore in Italia» PAOLO CARU’ –
fondatore e direttore di Buscadero
«Da ragazzo la lezione per Massimo era stata: scrivere come Dylan e stare sul palco come
Springsteen. Lezione presto imparata. Prima di scrivere e timbrare la bellissima storia sua»
MASSIMO COTTO – giornalista e scrittore – Virgin Radio