A cura di Emilio Capoano
INTERVISTA a cura di Francesca Amore
L’autrice,collaboratrice scientifica di lingua e letteratura russa presso l’Università Libre di Bruxelles è specializzata su questo importante autore russo e ci presenta questo piccolo saggio su Dostoevskij, evidenziando un tema per lui sempre presente ed al centro dell’universo narrativo di Dostoevskij: l’uomo.
In questo caso il rapporto tra l’essere umano e la solitudine, i sogni nel percorso onirico della mente, rappresentando la peculiarità di questo autore nel non seguire mai il percorso convenzionale della letteratura del suo tempo.
Una piccola perla editoriale che, forse, si adatta a questo momento storico caratterizzato da una scarsa socializzazione portata da una pandemia che si spera abbia fatto aprire gli occhi a tante persone che dall’alto hanno scherzato con la natura e con alcuni valori della vita che sono immortali.
Una lettura fluida grazie ad una scrittura semplice, senza particolari tecnicismi, rendendo facile la lettura ed il coinvolgimento del lettore con ampi richiami letterari del Dostoevskij nelle note richiamate, una lettura che porta ad interagire con se stessi e le proprie esperienze oniriche e la solitudine nell’uomo di ieri, di oggi e forse di domani, portandoti a confronti e riflessioni.
L’essere umano con i suoi dubbi, le sue convinzioni e tutta una serie di interrogativi etici, esistenziali, religiosi, sociali, politici a cui non è possibile trovare una univoca risposta, sprofondando così in un’ infinita solitudine, in tutte le sue varie angolazioni che un grande personaggio come Dostoevskij ha sempre affrontato, rappresentando l’uomo.
Una lettura che consiglio per uscire dalla comfort zone della narrativa quotidiana del romanzo, del noir, del thriller….e vivere un attimo il proprio rapporto con se stessi. per comprendere anche l’importanza della solitudine spesso cercata ma il più delle volte non voluta ed arrivata per un fato.
Voglio concludere con una citazione di Gaugain: “La solitudine non è consigliabile a tutti, perché bisogna essere forti per sopportarla e per agire da soli”
INTERVISTA di Francesca Amore
L’uomo al centro dell’universo: Dostoevskij e l’eroe solitario di Giulia Gigante
Lo stato d’animo degli eroi solitari
Dostoevskij e l’eroe solitario di Giulia Gigante edito da Agorà & Co è il libro che aspettavo. Un viaggio incredibile nei meandri dell’animo umano e in quello dello scrittore russo. Dostoevskij è un autore che non tramonta mai, è sempre attuale, anche a distanza di 200 anni. I personaggi dostoevskiani ci raccontano l’uomo con le sue paure, le sue frustrazioni, i suoi dolori, ma anche la sua bellezza e la sua unicità.
Perché il libro parla di eroe solitario? Perché l’eroe di Dostoevskij è un uomo che si pone mille domande di natura etica, religiosa ma anche politica e sociale, a cui, però, non riesce a dare risposte, sprofondando così in un’ infinita solitudine.
In questo bellissimo saggio, Giulia Gigante ci racconta quanto incida nell’opera dostoevskiana la solitudine e quali strategie mettano in atto i suoi personaggi per liberarsene. L’epilogo, però, è quasi sempre lo stesso. Tutti i tentativi per allargare le maglie della solitudine falliscono miseramente…
Dostoevskij e l’eroe solitario di Giulia Gigante è diviso in tre parti. Nel primo saggio l’autrice affronta la questione della genesi della solitudine e delle azioni che l’eroe mette in atto per contrastarla.
Nel secondo saggio si esplora la dimensione “altra” di alcuni personaggi, una dimensione molto vicina a quella del sogno.
Nel terzo infine, l’autrice ci racconta come Dostoevskij si allontani dalle convenzioni letterarie dell’epoca, soffermandosi sui tabù che infrange.
Giulia Gigante è collaboratrice scientifica di lingua e letteratura russa presso l’Université Libre di Bruxelles e traduttrice specializzata in lingue slave della Commissione europea. Ha pubblicato uno studio su Dostoevskij, in cui esamina il ruolo dei sogni e delle fantasticherie nell’opera dello scrittore (Dostoevskij onirico, Napoli 2001), e una monografia sulla poesia di Elena Schwarz (Inquilina di una stella. Note a margine della poesia di Elena Schwarz, Roma 2018). È autrice di numerosi articoli su scrittori russi dell’Ottocento, del Novecento e contemporanei e ha tradotto in e curato la pubblicazione di opere di diversi autori russi, tra cui Dostoevskij, Tolstoj, Čechov, Čajanov, Metter, Ulickaja.
Ho avuto il piacere di fare qualche domanda all’autrice Giulia Gigante, che ringrazio infinitamente, e con la quale siamo andati un po’ più a fondo, cercando di sviscerare, per quanto possibile, alcuni aspetti legati al tema della solitudine.
L’uomo al centro dell’universo: Dostoevskij e l’eroe solitario di Giulia Gigante
Partiamo dal titolo. Lei parla di eroe solitario, possiamo dire che la solitudine fa parte anche della vita di Dostoevskij oppure questa è una prerogativa solo dei suoi personaggi?
Quando parla della solitudine, Dostoevskij descrive uno stato d’animo che conosceva per esperienza personale. Troviamo diversi riferimenti alla sua condizione di solitudine, interiore e non solo, nelle lettere al fratello Michail, all’amico Strachov e alla seconda moglie, Anna Grigor’evna. Del resto, è nella solitudine delle notti insonni che l’autore trascorre bevendo tè e fumando che nascono i suoi capolavori. Pur senza identificarsi con nessuno dei suoi personaggi, in numerosi casi lo scrittore fa vivere loro esperienze che egli stesso aveva vissuto (basti pensare all’epilessia), attribuisce loro caratteristiche – come la diversità o l’inclinazione alle fantasticherie – o stati d’animo, come accade per la solitudine, che gli sono propri.
L’uomo è sempre al centro dell’universo narrativo di Dostoevskij. Lo scrittore russo lo ritrae nelle sue mille sfaccettature, anche quelle negative e abiette, senza mai giudicarlo. Perché? Qual è l’intento di Dostoevskij? Cosa cerca attraverso i suoi personaggi?
Ciò che interessa allo scrittore è la verità. In tutte le sue opere si riscontra questo anelito, che a volte diventa una vera e propria ricerca disperata. A Dostoevskij non interessa giudicare, ma capire; capire quali siano i più autentici e profondi moti dell’anima, gli impulsi più sotterranei, le contraddizioni e i dilemmi dell’uomo. I limiti non lo spaventano, non lo fermano. Come scrive Virginia Woolf, lo scrittore russo “buca la carne e rivela l’anima”. E, mettendo a nudo la parte più sotterranea dell’uomo, la sua opera di scavo porta inevitabilmente a galla anche gli aspetti sordidi, abietti dei personaggi.
Ritorniamo alla solitudine. Lei dice che lo stato d’animo degli eroi solitari è cruciale per lo sviluppo delle opere di cui sono protagonisti. Ci può spiegare meglio questo concetto?
La solitudine è indubbiamente un motivo cruciale per Dostoevskij. Lo stato d’animo dell’eroe solitario è addirittura una delle cause scatenanti degli eventi narrati nei suoi romanzi quando non addirittura il fulcro. Per esempio, possiamo immaginare che, se Raskol’nikov (il protagonista di Delitto e castigo) non si fosse rifugiato nel suo guscio “come una tartaruga”, se non si fosse sentito così spaventosamente solo, probabilmente il corso dei suoi pensieri avrebbe preso una direzione diversa dal superomismo e il delitto non sarebbe stato consumato. Se Ordynov, il protagonista de La padrona di casa, non si fosse inselvatichito conducendo nel suo angolo “simile alla cella di un monastero” un’esistenza isolata dal mondo, probabilmente non sarebbe stato travolto dalla passione amorosa per Katerina, un sentimento obnubilante, oscuro e distruttivo. E diversi sarebbero stati anche i destini di altri personaggi, dall’Uomo del sottosuolo al Sognatore delle Notti Bianche. Le tipologie di personaggi solitari in Dostoevskij sono svariate, ma forse il caso più impressionante è quello di Stavrogin nei Demoni, un solitario assoluto, che rivendica con risolutezza il suo diritto alla solitudine.
Dostoevskij e l’eroe solitario comprende tre saggi. Nel primo lei si sofferma sul solipsismo degli eroi che, in casi estremi, arrivano a sdoppiare la propria identità. Ci sono dei casi ricorrenti in cui Dostoevskij opta per lo sdoppiamento? non so, un trauma che ha segnato l’eroe, una malattia, l’avidità…
A mio parere è proprio la condizione di estrema solitudine, unita alla fragilità nervosa che si riscontra in alcuni personaggi, a favorire il loro sdoppiamento. Si pensi a Goljadkin, il protagonista del Sosia che, spinto da un desiderio disperato di riempire il vuoto che lo circonda e dall’impossibilità di avere un dialogo con un interlocutore in carne ed ossa, finisce col partorire un doppio che ne è l’espansione, ma al tempo stesso è anche altro da sé. Anche questo è un processo che Dostoevskij ha vissuto dentro di sé, come racconta in una lettera confessando che tale sdoppiamento è stato per lui fonte di tormento, ma anche di piacere.
Nell’ultimo saggio invece, lei ci racconta il modo in cui Dostoevskij si sottrae alle convenzioni letterarie. Quali sono gli aspetti più evidenti a cui si sottrae lo scrittore?
Si tratta di uno degli aspetti che più rendono attuale la sua opera. Lo scrittore tende a scardinare tutta una serie di convenzioni letterarie, di regole dettate dalla legge o dal senso comune sui temi intorno ai quali organizzare il discorso narrativo e soprattutto sui limiti che uno scrittore non deve permettere ai suoi personaggi di valicare. Dostoevskij parla di ciò di cui normalmente non si parla narrando situazioni scabrose, pensieri anomali, comportamenti devianti o comunque sgradevoli e, così facendo, infrange tabù, sia sul piano tematico che su quello linguistico.