“Un tuffo nel Rinascimento”: si potrebbe definire in questo modo l’esperienza di entrare,
per la prima volta, dentro il Teatro Olimpico di Vicenza. L’obiezione sorge spontanea:
basta andare in molteplici musei, chiese e piazze dei maggiori siti rinascimentali italiani
per provare la medesima sensazione. Vero, però l’unico teatro chiuso del Cinquecento
capace di affascinare con la sua intrigante innovazione è proprio quello vicentino.
Progettato da Andrea Palladio nel 1580, l’anno della sua morte, è forse il più originale
capolavoro del grande architetto, famoso per le ville lungo il Brenta, simbolo di un tardo
Rinascimento che presto si sarebbe proiettato verso il Barocco e il Rococò.
Dall’Umanesimo fiorentino scaturì, attraverso la riscoperta della filosofia classica, un
prorompente bisogno di ritornare all’etica della bellezza greca e romana. Tutto questo in
antitesi con i secoli medievali, frenati dalla Chiesa Orientale ed Occidentale che avevano
ripudiato le riproduzioni pagane del corpo umano a favore di simboliche espressioni
religiose.
Palladio, quasi avesse voluto lasciare un testamento del suo amore per l’epoca del
rinnovamento umanistico, disegnò quell’ardito teatro dietro una precisa commissione
ma ne approfittò per esprimere al massimo livello la sua concezione di luogo della
visione e dell’ascolto. Si ispirò ai ruderi del Teatro romano Berga di Vicenza e al ”De
Architectura” di Vitruvio. Ma, non avendo avuto la possibilità di svilupparne ogni
elemento, a causa della sua scomparsa, fu l’intervento di un altro architetto geniale,
Vincenzo Scamozzi, a rendere l’opera straordinaria ed unica al mondo. Per la prima
rappresentazione, nel 1585, disegnò una quinta con effetto prospettico, tale ancora oggi
da creare l’illusione di trovarci in un elegante quartiere rinascimentale, da cui tre strade
partono evidenziando lunghezze quasi infinite.
La scenografia, costruita in legno, fu considerata così bella da non essere più smontata,
per arrivare sino ai giorni nostri, con restauri appropriati, in perfette condizioni. E’ come
se Piero della Francesca, grazie a Palladio e Scamozzi, avesse visto realizzato il suo
concetto di prospettiva in un’opera tridimensionale non realistica. Giotto, Masaccio,
Filippo Lippi, ossia i principali pittori che ispirarono Piero, sarebbero anch’essi felici di
vedere quelle loro idee concretamente sviluppate in un teatro.
In molti, nel passato, tra cui Goethe, Napoleone, L’imperatore Francesco I ed anche
Napoleone Bonaparte vollero ammirare quel gioiello, che è un insieme di finzione e realtà
artistica, persino nel suggestivo cielo dipinto nel soffitto.