a cura di Oriano Bortoloni redazione Terza Pagina Magazine
A un anno dalla sua scomparsa, vorrei rendere omaggio a Luciano Ventrone, che fu definito così da Federico Zeri. Un riconoscimento che il grande storico dell’Arte azzardò, suscitando qualche rimbrotto dalla critica ufficiale, nel passato spesso diffidente verso gli artisti non trasgressivi.
Nato a Roma nel 1942, fin da piccolo mostrò una grande predisposizione al disegno e alla pittura. Studiò architettura, ma poi decise di optare per un impegno puramente artistico. Era talmente bravo, pur essendo giovanissimo, da essere incaricato di eseguire i disegni dal vero di un testo di anatomia universitaria relativo al sistema nervoso umano.
Durante la sua lunga carriera, volle sperimentare più forme di espressione: dal Geometrismo all’Informale, fino ad approdare ad uno stile a lui maggiormente consono. Inizialmente si era inserito in una corrente italiana che oscillava tra il Realismo e l’Astrattismo, e univa i due termini con un trattino. Nella piena maturità Ventrone abbracciò la pittura iperrealista, a volte osannata, altre volte snobbata dal complesso mondo del mercato artistico. L’alta qualità del suo impegno non era casuale e idealmente si ispirava al più grande degli “iperrealisti”: Leonardo da Vinci. Naturalmente l’accostamento al genio fiorentino è solo una suggestione, ma bisogna riconoscere la comune passione introspettiva. Entrambi hanno avuto una grande capacità nella riproduzione dal vero, superando il concetto naturalistico, per evidenziare l’aspetto spirituale della composizione.
La riprova di questo azzardato paragone è stata fornita da una libero pensatore, spesso controcorrente, come Federico Zeri. Egli scrisse: “La pittura di Ventrone è una continua scoperta ottica, un’incessante recupero della realtà oggettiva…” E l’artista lo ringraziò, donandogli un ritratto che era ed è un compendio della sua poetica: Zeri appare appoggiato ad un tavolo che ha una natura morta come elemento centrale. E’ un dipinto di una bellezza tale, da poter essere annoverato tra i suoi capolavori. Anche il ritratto di Moravia, incisivo e senza altri elementi se non l’espressività esteriore ed interiore di uno dei più grandi scrittori italiani, è straordinario.
Le nature morte di Ventrone, alcune apertamente dedicate a quella primordiale di Caravaggio (conservata alla Pinacoteca Ambrosiana), hanno avuto successo, divenendo un tema ricorrente nella sua produzione creativa. Zeri ne rimase talmente affascinato, da considerare l’artista come un erede del grande genio dell’Arte. Musei in Italia e nel mondo hanno accolto alcune delle sue opere. Spero che arrivi presto il momento per dedicargli un’ampia retrospettiva, comprensiva di tutte le fasi del suo percorso.