GLI IMBECILLI
dal romanzo Bouvard et Pécuchet di Gustave Flaubert
con Sergio Basile e Gianluigi Fogacci
adattamento e regia di Sergio Basile
aiuto regia Yuri Napoli
assistente Beatrice Rincicotti
con la collaborazione di IDS – Imprenditori di Sogni
Teatro di Villa Lazzaroni
19|21 maggio
venerdì e sabato ore 21 – domenica ore 17.30
Sarà in scena dal 19 al 21 maggio al Teatro di Villa Lazzaroni lo spettacolo GLI IMBECILLI dal romanzo Bouvard et Pécuchet di Gustave Flaubert, con Sergio Basile e Gianluigi Fogacci, adattamento e regia di Sergio Basile.
Si può parlare di una strana coppia quando un autore ci presenta due personaggi che esistono solo l’uno in funzione dell’altro. Pur essendo ontologicamente distinti non sono concepibili come entità separate. Se nominiamo l’uno dobbiamo nominare l’altro, e anche quando in scena c’è soltanto uno dei due è inevitabile pensarlo in relazione al suo partner: clamoroso è l’esempio di Stanlio e Ollio. Ma è il caso anche di Bouvard e Pécuchet. “La betise (l’imbecillità umana) è un abisso senza fondo” diceva Flaubert e Francesco Dionigi Bartolomeo Bouvard e Giustino Romano Cirillo Pécuchet, i protagonisti di questo atto unico, ridotto dal romanzo Bouvard e Pécuchet di Gustave Flaubert, iniziato nel 1872 e pubblicato incompiuto un anno dopo la sua morte, sono due imbecilli. Da qui il titolo di questa edizione teatrale. I due amici, entrambi impiegati, con non meglio specifiche mansioni nell’adattamento teatrale, copisti nel romanzo originale, investono la grossa eredità di uno dei due per ritirarsi in campagna e dedicarsi a un accanito sperimentalismo. Nutrendosi bulimicamente (ma superficialmente) di un sapere ridotto a “informazioni”, a “pillole” desunte dai libri della loro biblioteca, credono di poter mettere in pratica (con quelle informazioni) le scienze e si applicano a esse con accanito furore: spaziano dall’agricoltura al magnetismo, dall’archeologia alla astronomia, dalla storia alla pedagogia, dalla filosofia al teatro, ma ogni esperienza si risolve immancabilmente in un grandioso e comico fallimento. E la delusione è tale da persuaderli (come un’altra strana coppia del teatro, Vladimiro ed Estragone di Aspettando Godot di Samuel Beckett) che l’unica soluzione sia farla finita; ma proprio allora rinvengono una possibilità alternativa: nel romanzo ritornano al vecchio e umile lavoro di archivisti/copisti. Non c’è più nulla da sapere, non c’è più nulla da fare. Niente più riflessioni né esperimenti. Bisogna ricapitolare, archiviare, classificare (copiare) qualsiasi cosa, TUTTO; costruire un gigantesco catalogo/monumento della conoscenza, quasi un archivio web, dove però tutto è uguale, bene e male, bello e brutto, alto e basso, insignificante e caratteristico. E l’archivio a cui i due si mettono a lavorare è il monumento alla imbecillità, monumento che la nostra società, schiava ormai della informatizzazione, e dell’infodemia, supinamente venera perché tragicamente priva di un pensiero critico che distingua il bene dal male, l’alto dal basso, l’insignificante dal caratteristico. L’archivio diventa l’illusorio mezzo di accesso alla conoscenza che conoscenza non è anche se facilmente accessibile. Nella trasposizione scenica, nello spettacolo Imbecilli invece, i due decidono di rimettersi sì a “copiare” il mondo ma attraverso lo strumento del teatro, inteso come “copia del mondo” e attraverso il teatro, “impiccare quel mondo alla sua imbecillità, denunciarlo, criticarlo”.
NOTE DI REGIA
Quando entra in scena la strana coppia, Bouvard e Pécuchet, che molto di rado ha calcato i palcoscenici nazionali, simili ma diversi, diversi ma simili, vacilla il principio di identità, sia a livello logico che di funzioni e ruoli, di gerarchie sociali e non solo: l’Io si distingue male dal Tu, l’Alto dal Basso, la Destra dalla Sinistra, la Copia dall’Originale, e così via, con effetti dirompenti di inversione dei ruoli, turbamento, carnevale, che tendono a coinvolgere e confondere un po’ tutti e in questo senso seminano altrettanto scompiglio di Stanlio e Ollio. Possono quindi essere definiti imbecilli e anche idioti, ma la loro imbecillità, pur derivando dagli zanni e dai clown, è di tipo nuovo perché, mentre quella degli stulti tradizionali era manifestazione di semplicità infantile e istintività elementare, quella delle strane coppie più recenti – Tweedledee e Twedledum di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol, Kayters e Carlier de L’avamposto del progresso di Conrad, Guido Pagliocco e Bartolo Barbi della novella Pari di Pirandello, Pedro Perez e Alvaro Alvarez de I due eruditi di Clarin, Aureliano e Giovanni di Pannonia de I teologi di Borges, i già citati Stanlio e Ollio, Claire e Solange de Le serve di Genet, Vladimiro ed Estragone di Aspettando Godot di Beckett, Ben e Gus de Il calapranzi di Pinter, Rosencrantz e Guildenstern de Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Stoppard… – è sintomo di moderna e ben più grave alienazione. Le vicende dei due zanni-intellettuali, di Bouvard e Pécuchet sono funzionali ad un discorso ironico-serio sul mondo. Come tutti i clown, i due protagonisti ci muovono al riso perché sono inadeguati e goffi, indossano male i loro panni, risultano sempre fuori parte, ma così facendo fanno nascere il sospetto che ormai siamo un po’ tutti clown quando recitiamo la parte di chi presume di potersi orientare tra i tanti discorsi a cui siamo esposti e da cui veniamo parlati senza volerlo e senza saperlo. Sergio Basile
Lo spettacolo è stato realizzato con il contributo del VII Municipio di Roma Capitale.