EMILIO CAPOANO redazione
Una importante trasposizione del capolavoro di Thomas Stearns Eliot per la regia di
Guglielmo Ferro, ha tenuto l’attenzione dei tanti spettatori presenti.
Un’opera complessa sulla storica vicenda di quel contrastato rapporto tra il Re di Francia
Enrico II e Tommaso Becket, Arcivescovo di Canterbury.
Con le loro opposte visioni tra Potere Temporale e Potere Spirituale si crea una importante
spaccatura nella civiltà occidentale nella metà del 1200 e con inganno il Re fà rientrare il
proprio cancelliere in Inghilterra quale sede primaziale di Canterbury dove fù fatto uccidere
il 29 dicembre del 1170 poco dopo quel suo ritorno.
Un istrionico Moni Ovadia nella parte dell’Arcivescovo ed una sofferta interpretazione di
Marianella Bargilli nella parte di una Suora devota, accompagnano la difficile analisi
storica tra Ragione e Fede, Libertà e Costituzione con dei dialoghi non facili da seguire
soprattutto se non si conosce la Storia.
Un bel finale che sorprende il pubblico; la sala si illumina e gli assassini di Tommaso
Becket, antipatici e crudeli, spiegano il perché di quella trucida uccisione, motivazioni che
si possono accettare o su cui non essere d’accordo, lasciando al pubblico la risposta.
Bella la sceneggiatura e l’ambientazione della Chiesa e bravi gli altri attori con però delle
piccole pause e tempi fuori sincrono da parte di alcuni ma, non era facile in una
rappresentazione letterale dei temi dell’opera, senza poi particolari idee di una regia pulita
e scorrevole nel cronologico svolgimento dei fatti.
Applausi in sala per un’opera sempre ostica e difficile.