a cura di Maria Antonietta Schiavina redazione
Il Programma “Viva gli Anziani!”
Agli inizi degli anni ’70, la Comunità di Sant’Egidio ha incontrato il mondo degli anziani quando
questa realtà non emergeva in modo così evidente come oggi quando possiamo, invece, parlare di
un continente anziano, come è stato definito nel volume La forza degli anni 1 . Negli anni è maturata
un’attenzione e una conoscenza del mondo della vecchiaia che ha portato alla ricerca e alla
realizzazione di nuove proposte di vicinanza e cura alle persone anziane. Una delle innovazioni
sperimentate in questi anni per rispondere in modo più adeguato alle esigenze della vita degli
anziani è il Programma “Viva gli Anziani!”.
La nascita del Programma “Viva gli Anziani”
La genesi e gli obiettivi del Programma «Viva gli Anziani!» della Comunità di
Sant’Egidio risalgono al drammatico evento dell’eccesso di mortalità, verificatasi in
Europa durante le ondate di calore dell’estate 2003. Lo stesso fenomeno si verificò
nel resto d’Europa dove morirono complessivamente circa 70.000 anziani,
soprattutto in Francia. Martin Winckler, scrittore francese, medico, in un articolo
apparso nel settembre 2003 su Le Monde Diplomatique 2 , definì quell’evento
“l’ecatombe degli invisibili”, facendone un’analisi lucida e agghiacciante: “questo
popolo di anziani, scomparso in poco tempo, segnalava – e segnala anche oggi – alla
nostra attenzione una “catastrofe umanitaria”, avvenuta nel silenzio. Si tratta di
persone che vivevano fra noi, ma come “invisibili”, morti anzitempo alla vita sociale,
tanto da essere dimenticati da tutti già da vivi”.
Lo stesso Winckler, nell’analizzare le ragioni di un tale abbandono, mise l’accento
sulla cattiva volontà politica nella gestione dei servizi di Welfare: “si lascia che sia la
penuria di risorse messe a disposizione a favorire una sorta di eutanasia sociale, che
appare in tutta la sua drammaticità soltanto durante l’emergenza, ma che è di fatto
una prassi quotidiana”.
Questo dramma delle morti in solitudine degli anziani rappresenta la punta di un
iceberg e la più tragica conseguenza di una realtà molto più diffusa, che è la
condizione di isolamento sociale, in cui vivono milioni di anziani, condizione che non
è riservata solo a questa generazione, ma riguarda tutti: è dunque un segnale di
imbarbarimento della società civile da cogliere e da contrastare.
Un metodo nuovo
Di fronte alla “strage degli invisibili” del 2003 la Comunità di Sant’Egidio ha sentito
l’urgenza di immaginare nuove strategie di intervento che potessero rispondere alle
1 La forza degli anni, Edizioni Francesco Mondadori, Milano, 2013
2 https://www.monde-diplomatique.fr/2003/09/WINCKLER/10432
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tante domande degli anziani di aiuto e sostegno nella vita quotidiana, ma soprattutto
di compagnia, per non essere più soli e poter rimanere a casa propria.
La frequentazione degli anziani nel loro ambiente di vita – la casa, il quartiere il
condominio – ha suggerito la possibilità di ampliare un’esperienza pluridecennale di
servizio della Comunità di Sant’Egidio. Da qui nasce, nel 2004, il Programma “Viva
gli Anziani!”, che si pone come primo obiettivo la protezione degli anziani più fragili,
gli ultraottantenni.
“Viva gli Anziani!” è attivo tutto l’anno con campagne informative, telefonate, visite
domiciliari ed interventi vari in diversi quartieri di Roma (Trastevere, Testaccio,
Esquilino, Monti, Monteverde, Garbatella, San Giovanni, Torrenova) ed in altre undici
città italiane (Napoli, Brindisi, Sassari, Catania, Fiumicino, Civitavecchia, Genova,
Pavia, Parma, Padova, Novara). Si tratta di un lavoro capillare finalizzato a creare
punti di riferimento all’interno del quartiere ed una rete di prossimità personalizzata
intorno ad ogni anziano, che possa proteggerlo dalle conseguenze legate a situazioni
di emergenza di vario genere. Questo lavoro costruisce fiducia, nel senso che dà a
ciascuno la possibilità di un appoggio su cui contare in un momento di difficoltà, con
ricadute positive sulla qualità della vita degli anziani e di tutto il quartiere.
Gli obiettivi e la strategia del Programma “Viva gli Anziani!”
Gli obiettivi prioritari che il programma individua sono:
● prevenire l’isolamento sociale,
● costruire reti di prossimità intorno agli anziani, specie i più isolati,
● aiutare gli anziani ad affrontare i momenti critici.
La strategia proposta è il monitoraggio attivo: un nuovo modello di intervento per
raggiungere grandi coorti di popolazione anziana, che, come tutte le azioni
preventive, deve essere universale e gratuito per essere efficace.
Infatti, il Programma adotta una scelta universalistica in quanto si rivolge a tutti gli
ultraottantenni. Non solo, ma li va a cercare, invertendo la normale direzione del
rapporto tra cittadino e servizio. Non è il cittadino che si rivolge al servizio ma il
servizio che cerca il cittadino.
Se i destinatari diretti sono tutti gli over 80 residenti nel territorio individuato per la
realizzazione del Programma, i destinatari indiretti sono il grande universo degli attori
delle reti informali (vicini, portieri, commercianti, …) e formali (operatori dei servizi
socio-sanitari, i medici di medicina generale,..) cioè tutta la rete di rapporti che
circonda gli anziani.
Infatti, la riuscita del Programma sta nella capacità di connettere l’anziano, i suoi
bisogni, ma anche le sue risorse, con il tessuto sociale del suo ambiente, costituito da
tutti quei soggetti, che lo abitano e che necessariamente si relazionano fra loro, e con
il territorio nel suo complesso.
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La parola chiave è “relazione” e gli operatori del Programma sono impegnati
quotidianamente nella costruzione di molteplici relazioni da cui scaturiscono poi le
soluzioni ai problemi individuali e collettivi degli anziani.
La costruzione delle reti di prossimità rappresenta, quindi, il cuore dell’attività del
Programma ed esprime la sua originalità.
Le reti di supporto sociale hanno bisogno di lavoro per essere create e poi
mantenute. Si tratta di un impegno capillare per coinvolgere il numero più alto
possibile di soggetti in questo processo di ricostruzione di un tessuto sociale lacerato
o semplicemente rarefatto.
Sono coinvolti i familiari, gli amici, i commercianti, i medici di base, i farmacisti. Con
alcuni di questi esiste una collaborazione permanente e rappresentano quindi
soggetti attivi della rete, in grado di segnalare problemi, situazioni di crisi o altro. Gli
stessi anziani del Programma sono parte attiva di questa rete, si interessano alla
situazione dei loro vicini e possono allertare in caso di situazioni di criticità. Questo
aspetto è molto rilevante perché ricostruisce il tessuto sociale connettendo chi è solo
con gli altri.
Invecchiamento attivo
Il tema dell’invecchiamento attivo è molto dibattuto e la nostra società rincorre un
modello giovanilista rafforzato dalle immagini della pubblicità. Tuttavia, occorre
riscoprire un valore profondo della presenza degli anziani nella società, anche
quando sono più fragili. In questo senso va inteso il contributo dei volontari più
anziani del Programma, un nucleo di circa 350 persone ultrasessantenni, che si
impegnano intensamente nel suo sostegno e sviluppo, nella costruzione e nella
manutenzione delle reti di prossimità attraverso telefonate, contatti e, al bisogno,
visite domiciliari. Questi volontari sono l’espressione del contributo dei più anziani al
progetto di una società umanamente più coesa ed attenta all’altro, un contributo dato
con lo sguardo maturo di chi non si sente uno scarto, ma al contrario è al centro della
vita sociale tanto da sostenerla. Sono veri esperti di umanità che prestano
gratuitamente la loro opera arricchendo la società con il loro entusiasmo.
L’opportunità “italiana” degli assistenti familiari
Un’altra componente importante della rete sono le assistenti familiari, risorse
preziose, esperienza italiana piuttosto unica nel panorama europeo, che permettono
all’anziano di continuare la propria vita nei luoghi dove ha vissuto. Non possiamo
dimenticare che la loro presenza accanto agli anziani consente a molti di evitare
l’istituzionalizzazione. Il Programma ha sviluppato dei corsi on line per curare la
formazione di questa risorsa indispensabile che sostiene la vita di moltissime
persone fragili.
Il Programma rappresenta un ponte tra l’anziano e i servizi territoriali, il quartiere, il
medico di famiglia e si colloca accanto alle risposte tradizionali (servizi domiciliari,
residenziali, e semi residenziali) e dimostra che è possibile costruire un nuovo
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sistema socio-sanitario di prossimità, con l’anziano al centro e l’integrazione effettiva
di tutti coloro che nei diversi ambiti sono impegnati nei servizi.
La quotidiana presenza del Programma nei quartieri consente di intervenire
tempestivamente quando si manifesta un’emergenza. Questo è stato confermato nel
periodo della pandemia e del lockdown quando chi era isolato si è trovato in una
situazione drammatica. Conoscere già le situazioni degli anziani più isolati e fragili ha
reso possibile avviare immediatamente tutti i processi di aiuto e protezione
necessari. Tutti sono stati raggiunti dal Programma, che ha anche svolto un lavoro di
prevenzione durante le campagne di vaccinazione dando informazioni ai familiari e
agli interessati, prenotando la somministrazione del vaccino e accompagnando le
persone più in difficoltà.
Ma l’emergenza non è solo intesa nel senso di urgente bisogno di attenzione da
parte delle persone in carico al Programma, ma anche come attenzione alle
situazioni di carattere umanitario internazionale. Ad esempio, di fronte all’emergenza
della guerra in Ucraina, gli anziani seguiti dal Programma hanno subito sentito vicino
il dramma che la popolazione ucraina stava vivendo e questo è rifluito nelle
telefonate e nei contatti, divenendo il primo argomento di conversazione. Gli anziani
hanno avvertito la reale emergenza e hanno sentito il bisogno di aiutare aderendo
con entusiasmo alle varie iniziative di solidarietà proposte. Anche questo è un modo
per includere tutti nella vita sociale.
I numeri del Programma dal 2004 al 2023
Dal 2004 fino ad oggi sono stati seguiti oltre 14.000 anziani a Roma con il lavoro di
monitoraggio attivo del Programma.
Un primo dato rilevante è la bassissima percentuale di rifiuto, appena l’uno per cento.
L’elevato gradimento del lavoro del Programma risponde all’attesa degli anziani di ricevere
cure e attenzione.
Anziani seguiti
In particolare, dall’inizio del Programma sono stati contattati 14.376 over80 e attualmente
ne sono in carico 6.400. Gli attori sociali coinvolti sono stati circa 25.000, di cui 950 gli
anziani attivisti.
Interventi
Il numero degli interventi è stato 868.034 di cui: 739.004 Telefonate, 117.045 Visite
domiciliari, 11.985 Interventi specifici.
Campagne di sensibilizzazione
Le campagne di sensibilizzazione e di emergenze socio-sanitarie sono state: 42
campagne per emergenze caldo, 1 campagna per emergenza freddo, 3 campagne per
emergenze legate al Covid 19, 4 campagne di vaccinazioni Covid 19, 1 campagna per
emergenza pace
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I numeri del Programma nel 2022
Analizzando una parte del lavoro svolto nell’anno 2022 a Roma, si osserva che gli over80
monitorati dal Programma nei quartieri di Trastevere, Testaccio, Esquilino, Monti e
Monteverde sono stati 4.871. Il 65,5% sono donne il 34,5% uomini.
Valutazione della fragilità degli anziani monitorati
Nel lavoro quotidiano degli operatori, gli anziani sono stati contattati telefonicamente o con
visite domiciliari con una cadenza determinata dal livello di fragilità, valutato attraverso la
somministrazione di uno specifico questionario.
Il 32% della popolazione monitorata dal Programma risulta essere fragile, una percentuale
maggiore della media.
Gli interventi del Programma
Gli interventi effettuati dagli operatori del Programma nell’anno 2022 sono stati 88.876 di
cui:
● 63.248 chiamate effettuate
● 5.320 chiamate ricevute
● 18.990 visite domiciliari e gli incontri sul territorio sono stati
● 1.318 interventi specifici (es……)
Chiamate in uscita
Le chiamate effettuate sono state circa 170 al giorno. Dalla suddivisione per motivi emerge
come il maggior numero di telefonate è stato fatto per l’emergenza caldo, per la campagna
di vaccinazione ed in ugual misura per il monitoraggio e per l’emergenza pace.
Chiamate in entrata
Le chiamate ricevute sono state 5.320. Il motivo principale è stato il bisogno di parlare con
un operatore. Molte volte si tratta di semplici telefonate di compagnia oppure per salutare
l’operatore con cui si è stabilito un particolare legame. In altri casi si è trattato di richiesta
di interventi, per la campagna di vaccinazione e per l’emergenza caldo.
Visite domiciliari e incontri sul territorio
Le visite domiciliari e gli incontri sul territorio sono stati 18.990. Le visite sono state
effettuate principalmente per verificare le condizioni di salute degli anziani di cui non
abbiamo il numero di telefono o che non rispondono nei periodi di emergenza.
Sostegno alimentare e pasti a domicilio
La particolarità degli interventi effettuati nell’ultimo anno è stato il sostegno alimentare,
indice di un impoverimento degli anziani negli ultimi anni in seguito alla crisi economica
legata alla pandemia.
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Il Programma: sito europeo
Il 10 ottobre 2022 il Programma “Viva gli Anziani!” è stato nominato “Sito Europeo per le
Politiche per l’Invecchiamento Sano e Attivo”, un importante riconoscimento attribuito da
un organismo della Commissione Europea per il lavoro realizzato in collaborazione con
l’Università di Tor Vergata e l’agenzia We-Com. Gli esperti della Commissione Europea
hanno riconosciuto il Programma come “buona pratica da replicare in altre realtà locali”.
Questo riconoscimento avvalora l’importanza che rappresenta il Programma nel panorama
delle opzioni assistenziali attuali, essendo un intervento leggero, a basso costo -, circa 100
euro l’anno per anziano -, ma potenzialmente capace di offrire grandi opportunità di
risparmio e di riallocazione dei fondi dedicati all’assistenza. Si tratta di un esempio riuscito
di quella che possiamo chiamare transizione assistenziale, cioè il passaggio a servizi
personalizzati e domiciliari capaci di rendere la vita dei più anziani, più semplice, più
accompagnata e quindi migliore.
I risultati del programma Viva gli Anziani!
Pandemia
L’attualità purtroppo conferma in maniera ancora più drammatica come una società
disgregata, fondata sull’individualismo e su politiche socio-sanitarie poco lungimiranti,
centrate sul sistema ospedaliero e residenziale, possa arrivare a generare migliaia di morti
fra i più fragili, come durante la pandemia.
Non a caso più della metà delle morti da Covid19 si è consumata fra le mura delle
strutture residenziali di tutta Europa; nel caso dell’Italia abbiamo i dati pubblicati
dall’Istituto Superiore di Sanità, che, a maggio 2020, confermavano come luogo di
trasmissione del contagio le Residenze Sanitarie Assistenziali nel 60,1% dei casi, contro il
18,4% di contagi in ambito familiare e il 7,2% in ambiente ospedaliero. 3
Anche in questo caso abbiamo vissuto una strage annunciata, che ha fra le concause più
importanti proprio l’isolamento sociale delle migliaia di anziani istituzionalizzati. Tanti sono
morti nella solitudine totale non solo a causa del contagio del virus, ma anche perché non
hanno più potuto incontrare familiari, persone amiche che rappresentavano tutto nella loro
vita, per alcuni erano un sostegno importante nell’integrazione dell’alimentazione o per la
somministrazione quotidiana dei pasti e si sono semplicemente lasciati morire.
L’isolamento sociale è uno dei rischi che la rarefazione del tessuto sociale porta con sé. Si tratta di
rischi sostanzialmente ben noti: la condizione di solitudine, sia quando si tratta di una condizione
percepita soggettivamente, che quando si tratta invece di vero e proprio isolamento sociale, è
sempre associata nel medio periodo, diciamo in un orizzonte di 5 anni, ad un aumento del rischio
mortalità quantificabile in circa il 30% come emerge da diversi studi, uno dei più importanti dei
quali è stato condotto negli Stati Uniti su una popolazione composta da circa 3 milioni di persone
seguita per un periodo di 7 anni. Persino quando si vive da soli, che non significa necessariamente
3 https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_14-maggio-
2020.pdf
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“essere soli”, questa condizione di vita è associata ad un aumento del rischio di mortalità vicino al
32% 4 .
Un altro studio sullo stesso tema è stato condotto su un ampio campione di soggetti seguiti nel
Regno Unito 5 . Anche in questo caso la condizione di isolamento sostanziata nel non essere sposati
né co-abitanti, nel non partecipare ad un’associazione e nell’avere meno di un contatto mensile
con i familiari, è associata ad un rilevante aumento del rischio di morte che passa dal 12 al 22% nel
corso di una osservazione della durata di 5 anni.
La fragilità bio- psico – sociale
La mediatrice dell’aumento del rischio è con ogni probabilità la condizione di fragilità bio-psico-
sociale cioè una condizione di maggiore vulnerabilità ad eventi negativi, inclusa un’evoluzione più
grave o più veloce di malattie magari già presenti, che è caratterizzata dall’intersecarsi di diversi
elementi psico-fisici e, per l’appunto sociali tra i quali la formazione, la presenza di co-abitanti, la
presenza e la consistenza della rete sociale, le risorse economiche, la disponibilità di un care giver,
la qualità della vita.
Un nuovo strumento di valutazione
All’interno del programma “Viva gli Anziani!” la valutazione della vulnerabilità è condotta
attraverso uno strumento, messo a punto dal Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione
dell’Università di Roma “Tor Vergata”, che può essere somministrato anche per telefono con un
colloquio di circa 5-10 minuti, che può essere affidato anche ad un operatore sociale che abbia
fatto un breve corso di formazione.
Tale valutazione ha una forte prevalenza di items sociali, il 40%, che rappresenta la caratteristica
specifica di questo strumento basato sullo studio dei gradienti sociali della salute.
Il questionario è la porta di accesso del Programma e sfocia in una classificazione in quattro stadi
collegati alla criticità: “robusto”, “pre-fragile”, “fragile” o “molto fragile”. A queste valutazioni
corrisponde un diverso impegno del Programma nelle azioni di monitoraggio dell’interessato e
della rete.
Tuttavia, è anche interessante notare che questa classificazione, sebbene frutto di una valutazione
condotta in una conversazione di al massimo dieci minuti per telefono, ha un’elevata predittività
per esempio in relazione alla mortalità. Nella figura 1 si osserva la percentuale di persone che
rimangono in vita nel corso di 3 anni, suddivisa per il livello di fragilità definito al momento del loro
primo contatto con il programma attraverso la somministrazione del questionario. La discesa della
curva corrisponde, per ogni giorno dal momento in cui inizia l’osservazione, alla percentuale di
persone che sono rimaste in vita. La linea arancione che corrisponde alle persone molto fragili
scende molto più delle altre evidenziando come, al termine dei tre anni, meno del 50% delle
persone sono ancora vive. Al contrario la linea blu, quella dei robusti scende molto più dolcemente
4 Holt-Lunstad J, et al.Loneliness and social isolation as risk factors for mortality: a meta-analytic review.
Perspect Psychol Sci. 2015 Mar;10(2):227-37. doi: 10.1177/1745691614568352. PMID: 25910392.
5 Steptoe A, et al, Social isolation, loneliness, and all-cause mortality in older men and women. Proc Natl
Acad Sci U S A. 2013 Apr 9;110(15):5797-801. doi: 10.1073/pnas.1219686110. Epub 2013 Mar 25. PMID:
23530191; PMCID: PMC3625264.
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perché al termine dei tre anni oltre il 90% degli intervistati è in vita. La linea rossa, quella dei pre-
fragili e quella verde, dei fragili, mostrano un’inclinazione intermedia tra i due estremi,
permettendoci di osservare come la classificazione iniziale sia molto aderente alle frequenze
dell’evento morte nei successivi tre anni. Sottolineo che la valutazione da cui siamo partiti non
prende in considerazione le malattie. Quindi, in qualche modo l’esito che vediamo prescinde dal
tipo di malattia o di malattie dalle quali è affetto l’interessato ed è funzione solo, semmai, della
loro gravità che si esprime come impatto sulle capacità funzionali e cognitive del soggetto
intervistato che vengono valutate dal questionario.
Figura 1 – Sopravvivenza per punteggio del questionario di Valutazione Geriatrica Breve
Il punto fondamentale che affrontiamo tuttavia è questo: è assodato che la riduzione del capitale
sociale è associata ad un aumento della mortalità, nonché, ad un aumento dell’uso dei servizi
specie ospedalieri e che, per converso, un ambiente familiare supportivo svolge una funzione di
protezione verso esiti quali la mortalità e l’uso dei servizi. Di conseguenza possiamo affermare che
la ricostruzione di un tessuto “familiare” – che familiare non è perché non è composto da familiari
ma da estranei che si fanno vicini e quindi possono diventare amici, anche amici molto stretti-
questa ricostruzione è capace di “proteggere” come farebbe una famiglia dove ci si aiuta in tutto e
per tutto? Perché la scommessa del programma è tutta qui: nasce dall’intuizione che il tessuto
amicale è protettivo e contrasta realmente le conseguenze dell’abbandono e della solitudine.
Abbiamo elementi per dimostrarlo?
Incidenza del Programma sulla mortalità
Nella figura 2 è riportata la percentuale di incremento per anno della mortalità durante il periodo
giugno-settembre dal 2015 al 2019 nelle zone urbane del primo Municipio. Le zone urbane in
verde sono quelle dove operava, e tutt’ora opera, il programma “Viva gli Anziani!”, mentre quelle
in rosso sono i controlli. Tutte le zone considerate sono nel centro della città per evitare che una
collocazione diversa sia soggetta a situazioni climatiche sostanzialmente diverse. Infatti, l’isola di
calore urbano varia enormemente da quartiere a quartiere in virtù di una diversa distribuzione dei
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fabbricati, degli spazi intermedi, della presenza di piante etc.. 6 Quando c’è un’ondata di calore la
mortalità si alza in tutta la città, ma in tutti e cinque gli anni la mortalità è minore nei quartieri
dove opera “Viva gli Anziani!” rispetto alle zone dove il programma non c’è. Si tratta di un
riscontro importante anche perché proveniente da una fonte esterna al programma stesso. Un
evento che si ripete per cinque anni consecutivi molto probabilmente non è dovuto al caso come
anche le analisi statistiche pubblicate dimostrano. E’ stato possibile calcolare che in 5 anni sono
stati evitati circa 72 decessi su una popolazione di circa 4000 persone.
Figura 2 – Percentuale di incremento per anno della mortalità durante il periodo Giugno-
Settembre nelle zone urbane del primo municipio dal 2015 al 2019
Mortalità e COVID 19
D’altra parte, riscontri analoghi si sono avuti quando è stata valutata la mortalità dovuta al COVID-
- Le indicazioni per proteggersi dal COVID-19 durante le prime fasi della pandemia, quando non
c’erano vaccini, soprattutto per le persone anziane, consistevano nel raccomandare di stare a
casa, di non andare in luoghi affollati, questo anche dopo la fine dei lock-down. Si tratta di
raccomandazioni molto simili a quelle per proteggersi dalle ondate di calore che sono state al
centro degli interventi del programma durante la pandemia. La figura 3 mostrala mortalità degli
ultra ottantenni settimana per settimana dal 1° gennaio fino alla metà di maggio in tre città
italiane Roma, Genova e Novara.
Figura 3 – Tasso di mortalità settimanale COVID-19 (CL95%) degli ultra-80 a Roma, Genova e
Novara: confronto tra popolazione generale e Programma Viva gli anziani! (1 gennaio–3 maggio
(p=0.001)
6 La fonte del dato è l’ufficio statistico del Comune di Roma che ha fornito la mortalità per residenza per ogni
anno.
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E’ evidente l’aumento di mortalità che avviene alla 12ma settimana, la terza di marzo, dopo che la
settimana precedente era scattato il lockdown nazionale. Nella parte inferiore del grafico si
osserva la mortalità negli ultraottantenni seguiti dal programma Viva gli Anziani! nelle stesse città
e si può rilevare come un è presente lo scalino di innalzamento della mortalità che è presente nella
parte superiore del grafico, proprio perché il programma ha protetto gli anziani
Un dato simile è quello ricavato dalla mortalità da COVID-19 tra gli ultra80enni a Roma nel periodo
tra il 1° ottobre 2020 ed il 31 marzo 2021. È il periodo di massimo impatto della pandemia perché
Roma è stata un poco risparmiata dalla prima ondata, mentre meno dalla seconda ed i vaccini
hanno raggiunto larghe fasce della popolazione a partire dal secondo trimestre del 2021. Anche in
questo caso, come nel precedente, la figura 4 mostra l’incremento di mortalità tra gli ultra80enni
nei quartieri del primo Municipio, suddivisi tra quelli dove è attivo il programma e quelli dove non
lo è, definiti “Controlli”. La percentuale di incremento è del 14% nei controlli e del 10% nei
quartieri del programma.
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Figura 4 – Incremento di mortalità tra gli anziani ultra80enni residenti nel 1° municipio: 1 ottobre
2020- 31 marzo 2021
Incidenza del programma sui ricoveri ospedalieri
Una considerazione ulteriore merita l’impatto del programma sull’uso dei servizi ospedalieri. In
questo caso è stato confrontato il tasso di ospedalizzazione degli ultra80enni che seguono
programmi assistenziali comuni, con i tassi di ospedalizzazione degli anziani seguiti dal programma
e quelli degli anziani seguiti anche con la collaborazione dell’infermiere di comunità. Come si vede
in figura 5 sia il programma da solo che, ancora di più, il programma integrato dall’infermiere di
comunità sono in grado di ridurre i tassi di ospedalizzazione facendo della casa il luogo della cura.
Figura 5 – Percentuale di persone ospedalizzate in un anno per tipologia di intervento (tassi
standardizzati per età, genere e livello di fragilità)
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E’ interessante (figura 6) osservare che a ridursi maggiormente sono sia i ricoveri isolati che ,
anche in questo caso ancora di più, i ricoveri multipli, proprio perché l’evento ricovero conduce gli
operatori a concentrarsi sulla persona per evitare che si debba ricoverare di nuovo, perseguendo
invece una stabilizzazione della sua condizione clinica che in molti casi può essere legata anche
solamente al fatto che qualcuno si preoccupi dell’assunzione delle medicine: gli errori
nell’assunzione della terapia valgono, secondo la Società Italiana di Geriatria, un terzo dei ricoveri
relativi agli ultra65enni. Il programma insomma agisce come un grande ammortizzatore che cerca
di prevenire le crisi dovute ad esempio all’esacerbarsi delle condizioni climatiche, assorbendo i
“colpi”, per cosi dire, del caldo attraverso la sorveglianza ed, al bisogno, l’assistenza, mentre prova
a ridurre l’impatto delle crisi individuali, come un ricovero, la perdita di un partner, la necessità di
trasferirsi in un’altra abitazione, attraverso quella sorveglianza e quella compagnia che si
traducono in maggiore resilienza individuale.
Figura 6- Ricoveri ospedalieri in un anno
Da questi dati emergono due considerazioni importanti:
- la fragilità sociale è contrastabile e questo, quando viene fatto in maniera organizzata e
sistematica come nel modello di “Viva gli anziani!”, ha conseguenze rilevanti sulla salute e
sull’uso dei servizi da parte degli anziani - La fragilità bio-psico-sociale può essere misurata con strumenti adeguati, semplici e veloci,
e su questa base si possono costruire interventi efficaci. - Comunità di Sant’Egidio
- La Lettera di Maria
- Per non andare da anziani in istituto e rimanere a casa propria
- Centinaia di migliaia di firme sono state raccolte in ogni parte del mondo per contrastare
- l’istituzionalizzazione e per consentire a chi è anziano e in difficoltà di poter restare a casa propria.
- Ho quasi settantacinque anni, vivo da sola a casa mia, la stessa in cui stavo con mio marito, quella
- che hanno lasciato i miei due figli quando si sono sposati.
- Sono sempre stata fiera della mia autonomia, ma da un po’ non è più come prima, soprattutto
- quando penso al mio futuro. Sono ancora autosufficiente, ma fino a quando? Tra me e me
- m’accorgo che i gesti diventano giorno per giorno un po’ meno disinvolti, anche se mi dicono
- ancora: “Fossi io come lei alla sua età …”. Uscire per la spesa e tenere la casa mi fa una fatica
- crescente.
- E allora penso: “Quale sarà il mio futuro?”. Quando ero giovane la risposta era semplice: con tua
- figlia, col genero, con i nipoti. ma adesso come si fa, con le case piccole e le famiglie in cui
- lavorano tutti? Allora anche adesso la risposta è semplice: l’istituto.
- E’ martellante, lo dicono tutti, però tutti sanno anche, e non lo dicono, che nessuno vorrebbe
- lasciare la sua casa per andare a vivere in un istituto.
- Non posso credere davvero che sia meglio un comodino, uno spazio angusto, una vita tutta
- anonima alla propria casa, dove ogni oggetto, un quadro, una fotografia, ricordano e riempiono
- anche una giornata senza tante novità.
- Sento spesso in giro chi dice: “L’abbiamo messo in un bell’istituto, per il suo bene”. Magari sono
- sinceri, ma loro non ci vivono. Non è neppure un “male minore”, ma necessario.
- Ammettiamo pure di non capitare in uno di quei posti da telegiornale, dove gli fa fatica pure darti
- l’acqua se hai sete, o ti maltrattano solo perché si sentono frustrati del lavoro che fanno.
- Però non credo proprio che sia un istituto la risposta a chi sta un po’ male e, soprattutto sta solo.
- Ritrovarsi a vivere all’improvviso con persone estranee, non volute e non scelte è davvero un modo
- per vincere la solitudine? So bene come si vive in istituto. Succede che vuoi riposare e non ci riesci
- perché non sopporti il rumore degli altri, i colpi di tosse, le abitudini diverse dalle tue. Si dice che
- da vecchi si diventa esagerati.
- Ma non è un’esagerazione immaginarsi che se vuoi leggere c’è chi vuole la luce spenta o che se
- vuoi vedere un programma, o se ne guarda un altro o non è orario.
- In un ricovero anche i problemi più banali diventano difficili: avere ogni giorno il giornale,
- riparare subito gli occhiali quando si rompono, comprare le cose che ti servono se non puoi uscire.
- Capita spesso che ti scambino la biancheria con quella di un’altra dopo la lavanderia e poi non
- puoi tenere niente di tuo.
- Quello che è peggio – ammesso che il mangiare non sia cattivo – è che non si può decidere quasi
- niente: quando alzarsi e quando restare a letto, quando accendere e quando spegnere la luce,
- quando e cosa mangiare. E poi, quando uno è più anziano (ed è più imbarazzato perché si sente
- meno bello di una volta), è costretto ad avere tutto in comune: malattia, debolezze fisiche, dolore,
- senza nessuna intimità e nessun pudore.
- C’è che dice che in istituto “hai tutto senza pesare su nessuno”. Ma non è vero. Non si ha tutto e
- non è l’unico modo per non dare fastidi ai propri cari.
- Un’alternativa ci sarebbe: Poter stare a casa con un po’ di assistenza e, quando si sta peggio o ci
- si ammala, poter essere aiutati a casa per quel tempo che serve.
- Questo servizio già esiste, ma più sulla carta che in realtà. Ogni amministrazione dovrebbe
- garantire l’assistenza. Siamo in tanti, infatti, che potremmo rimanere a casa anche soltanto con un
- piccolo aiuto (un servizio piccole spese, pagamenti di bollette, un po’ di pulizie, eccetera), o con
- l’assistenza sanitaria a domicilio (il fisioterapista, il medico, l’infermiera), come previsto dalla
- legge italiana.
- E non è vero che tutto questo costa troppo. Questi servizi costano tre o quattro volte meno di un
- mio eventuale ricovero in una lungodegenza o in istituto. All’estero mi dicono che è diverso. Qui da
- noi, invece, succede che finisci in un istituto e che nemmeno l’hai deciso tu. Non capisco perché si
- rispettano le volontà di un testamento e invece non si viene ascoltati da vivi se non si vuole andare
- in istituto.
- Ho sentito alla TV che qui in Italia sono state stanziate migliaia e migliaia di miliardi per costruire
- nuovi istituti e per realizzare 140.000 posti letto. Se abitassi in una baracca ne sarei pure contenta.
- Ma io una casa e un letto, il mio “posto letto” già ce l’ho, non c’è bisogno di creare nuove cucine
- per prepararmi il pranzo, potete usare la mia. Non ho bisogno che mi costruiate una nuova grande
- sala per vedere la TV, ho già la mia televisione in camera. Il mio bagno funziona ancora bene. La
- mia casa, semmai, necessita soltanto di qualche corrimano e maniglia al muro: vi costerebbe molto
- meno.
- Quello che desidero per il mio futuro è la libertà di poter scegliere se vivere gli ultimi anni della
- mia vita a casa o in istituto.
- Oggi questa libertà non ce l’ho. Usufruire dell’assistenza domiciliare è molto difficile, quasi
- impossibile: le domande sono molte e il servizio è ancora troppo limitato. ma se questa assistenza
- domiciliare si sviluppasse di più e diventasse per tutti quelli che hanno bisogno, potreste anche fare
- a meno di costruire tanti nuovi, costosi istituti. E persino gli ospedali sarebbero meno affollati.
- Per questo, anche se non più giovane, voglio ancora far sentire la mia voce e dire che in istituto
- non voglio andare e che non lo auguro a nessuno.
- Aiutate me e tutti gli anziani a restare a casa e a morire fra le proprie cose. Forse vivrò di più,
- sicuramente vivrò meglio.
- Maria.