a cura di Oriano Bertoloni per la rubrica ” I LUOGHI DELL’ ARTE “
Gli antichi Egizi proibivano l’uso della pietra per la costruzione delle abitazioni: essa doveva essere utilizzata solo per gli edifici sacri. Persino con i graniti, di una durezza incredibile, furono create opere che avrebbero dovuto resistere per l’eternità. Al Louvre di Parigi, si può ammirare la Grande Sfinge di Tanis (2600 a.C) di dimensioni imponenti in granito rosa di Assuan. Dopo oltre quattromila anni sembra essere stata appena scolpita!
I Greci, forse con una analoga convinzione, credettero fosse possibile dipingere i monumenti e le sculture in marmo, preservandone all’infinito l’integrità. Quello che resta sono solo tracce di quei colori, che possiamo scoprire nei musei ateniesi in numerose opere d’arte. I romani, nel riprodurre molte di quelle opere, preferirono evitare di dipingerle, probabilmente consci che non avrebbero resistito alle intemperie come accaduto agli originali.
Nel Rinascimento, tra le varie riscoperte delle tecniche antiche, ci fu chi pensò di dipingere su pietre e marmi di varia natura, con l’illusione che le loro opere avrebbero sfidato le insidie deterioranti del tempo. Un pittore importante, come Sebastiano del Piombo, decise di proporlo come un nuovo stile, dando l’avvio alla “Pittura su pietra ad olio.” Altri artisti seguirono il suo esempio e Scipione Borghese, agli inizi del Seicento, raccolse una certa quantità di quei lavori. La Galleria Borghese, ha deciso di mostrare la collezione nelle sue sale, unita a una notevole quantità di opere provenienti da musei e privati italiani e stranieri. E’ un giusto omaggio ad un tentativo che ebbe un certo successo, anche se esaurì la propria forza abbastanza velocemente. Oltre 60 manufatti di dimensioni ridotte (le pietre e i marmi pesano molto più delle tavole e delle tele) sono dispiegate lungo il percorso di uno dei musei più prestigiosi al mondo.
L’uso dei materiali utilizzati è stato ampio. Ad esempio: Il porfido rosso per un ritratto di Cosimo de Medici, attribuito al Bronzino (1560); L’alabastro volterrano, fragile e trasparente, utilizzato da Antonio Tempesta per l’Adorazione dei magi (1600/1620); La lavagna, proveniente da l’omonima località ligure, ma anche alcuni marmi, utilizzati da Carlo Saraceni, Orazio Gentileschi e il Cavalier D’Arpino. La pietra Paesina, chiamata anche Pietra di Firenze, è straordinaria per i disegni naturali che la caratterizzano. Essa è servita da sfondo paesaggistico per alcune delle opere in esposizione. Il prezioso lapislazzulo, proveniente dall’oriente, con il suo blu intenso, è stato utilizzato anche da Jacques Stella come cielo per un meraviglioso “Riposo nella fuga in Egitto”.
Le sezioni dell’esposizione, evidenziano l’uso ampio e articolato dei materiali naturali più costosi anche per le arti definite impropriamente “minori”: piccole sculture, orologi, oggetti devozionali per stanze, altari minuscoli, cornici di pietre dure, tavolini intarsiati con i materiali più pregiati. Il titolo della mostra, “Meraviglia senza tempo”, rappresenta il riuscito tentativo di unire ai grandi capolavori del museo una esauriente rassegna di opere d’arte create con supporti alternativi e suggestivi.
Roma – Galleria Borghese – aperta fino al 29 gennaio 2023